La vita quotidiana secondo Giuseppe Sigon il fotografo della gente nella Venezia Giulia

la recensione
Lavandaie inginocchiate sulla riva del corso d’acqua; pastori con le pecore del gregge in un magro pascolo, contadini con i figli e un piccolo gruppo di anatroccoli, donne alla fontana. Questo ha fotografato Giuseppe Sigon all’estrema periferia di Trieste tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Grande Guerra. Immagini inusuali, diverse, inaspettate. Finora l’autore di queste fotografie era infatti noto come uno dei più versatili e capaci disegnatori e cromolitografi dello stabilimento grafico della Modiano. Di lui fotografo non si era mai parlato.
Ora invece sono emerse numerose immagini simili a quelle che abbiamo citato che gli assegnano un posto di riguardo accanto ai titolari dei più affermati “atelier” cittadini dell’epoca. Alle lavandaie di Roiano, ai mucchi di lenzuola che stavano loro accanto, ai pastori e ai contadini di Rozzol, la fotografia “ufficiale”, schierata negli studi posti tra piazza della Borsa e il Corso, non dedicava tempo e attenzione. Giuseppe Franceschinis, Giuseppe Wulz, Guglielmo Sebastianutti, Francesco Benque, Emilia Manenizza, più che agli strati poveri ed emarginati della popolazione guardavano alla buona borghesia triestina e alla sua capacità di metter mano al portafoglio per farsi ritrarre all’interno dei loro studi-atelier.
Giuseppe Sigon invece non viveva di fotografia perché ciò che gli serviva per campare dignitosamente con la famiglia lo ricavava dal suo lavoro alla Modiano. Le fotografie gli servivano solo come punto di partenza per realizzare quelle cartoline illustrate che a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo stavano iniziando ad affermarsi sul mercato, mostrando a livello di massa ciò che la pittura e l’incisione finora avevano fatto in misura limitata: scene dell’estrema periferia, stazioni ferroviarie, lavoro sulle banchine del porto, piroscafi, tram elettrici, negozi, caffè con i camerieri e i clienti schierati davanti all’obiettivo del fotografo. La Modiano si era gettata a capofitto in questo nuovo, promettente settore del mercato, affiancando le cartoline illustrate alla sua tradizionale produzione di manifesti pubblicitari, cartine da sigarette e carte da gioco.
Erano stati mobilitati un buon numero di fotografi per “produrre” immagini di molte località dell’Istria, del Quarnero, della Dalmazia e della sue isole. A Fiume era stato “inviato” Francesco Penco e di questo reportage si sono salvati i negativi su lastre di grandi dimensioni e di straordinaria nitidezza. Giuseppe Sigon, visto il suo ruolo nello stabilimento Modiano non poteva allontanarsi troppo da Trieste, ma oltre che agli edifici e ai palazzi, le vie di comunicazione, le piazze e i moli, aveva guardato alla gente, ai lavori più umili, agli anziani che di lì a poco avrebbero costituito la base per costruire ad esempio i manifesti pubblicitari per la Crema Marsala Depaul e della cartine da sigarette Club. Il suo lavoro di fotografo era stato influenzato oltre che dalla necessità dell’azienda di cui era dipendente, anche dalla sua fede politica.
Un peso determinante nella scelta di fotografare “gli ultimi” e la fatica del lavoro delle lavandaie era collegato alla sua fede socialista: suo è il bozzetto del manifesto del 1898 per il giornale “il Lavoratore” con lo slogan “Proletari di tutti i Paesi, unitevi”; sue sono le cartoline che inneggiano alla fondazione della Società di mutuo soccorso fra gli artigia stampata nel 1900: suo è il manifesto del 1905 dedicato al suffragio universale. E sono stampate della Modiano anche le cartoline che ricordano il tragico sciopero dei fuochisti dei Lloyd del 1902, quando la polizia austriaca aprì il fuoco sui dimostranti uccidendo almeno 14 persone. Il lavoro fotografico di Giuseppe Sigon, ora è entrato a far parte del libro “Dalla Venezia Giulia al mondo. Cartoline dalle raccolte Irci per i 150anni della Modiano”, realizzato dall’Irci (pagg. 288, s.i.p.) che è disponibile nell’ambito della mostra aperta in via Torino. Ne è autore Piero Delbello che è riuscito a salvare dall’oblio almeno 400 stampe su carta e una cinquantina di lastre. Erano conservate nell’abitazione che fu di Pollione Sigon, figlio di Giuseppe e rischiavano in assenza di eredi interessati alla loro valorizzazione di finire chissà dove. Disperse o distrutte. Invece ora sono salve e testimoniano nella mostra e nel volume la ricchezza culturale della Trieste che fu. Un secolo fa. —
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