L’autore che non volle mai pubblicare inseguendo la solitudine della poesia

Nato a Pola, si mise nei guai in Veneto, tentò con Milano: poi l’approdo all’ex Opp
Una delle rare immagini giovanili di Paolo Universo, nato a Pola nel 1934 e morto a Trieste nel 2002. In vita si rifiutò di pubblicare i suoi lavori
Una delle rare immagini giovanili di Paolo Universo, nato a Pola nel 1934 e morto a Trieste nel 2002. In vita si rifiutò di pubblicare i suoi lavori

In genere, quando ci si avvicina ad un autore, è preferibile distinguere il poeta dall’uomo, la persona dalla sua scrittura. Ma ci sono dei casi (rari) in cui questa operazione diventa impossibile. Ci sono insomma dei personaggi in cui la coerenza tra arte e vita diventa inevitabile, e non consente distinzioni. Il poeta Paolo Universo è tra questi.

Era nato a Pola nel 1934, seguì la famiglia in varie regioni d’Italia (il padre era un funzionario pubblico) per stabilizzarsi a Trieste negli anni ’60, ma non in modo definitivo. Ci tornerà all’inizio degli anni ’70, dopo una parentesi che rischia di trascinarlo in una “guerra fredda” non sua. In quel periodo si era trasferito nella villa del conte Pietro Loredan, in Veneto, a Venegazzù, una sorta di mecenate che garantiva a Paolo un beato soggiorno tra i suoi vigneti e la poesia. Un periodo un po’ oscuro per la vita dell’autore triestino, che rischiò appunto di essere incriminato per sovversioni ideate da altri, azioni terroristiche di dubbiosa provenienza politica, da cui comunque Paolo si rivelerà estraneo.

Solo dopo questa esperienza si stabilisce definitivamente a Trieste. Prima c’erano state anche brevi parentesi milanesi. Paolo spesso citava la fortuna, negli anni ’60, di essere poeta, quando i poeti venivano presi seriamente, tanto da essere assunti come creativi per formulare spot pubblicitari in diverse aziende meneghine.

Anche Universo aveva lavorato in questo campo, Milano era un grande centro per la poesia, la casa della quinta musa ormai da Firenze si era indiscutibilmente trasferita lì. Ma non ci restò molto. È vero che godeva della stima di Vittorio Sereni che aveva pubblicato alcune sue poesie nell’Almanacco dello Specchio Mondadori, nel 1972, ma non c’è traccia di un fantomatico contratto editoriale per un libro. Anzi, stanco di aspettare il responso editoriale, Paolo non si fece problemi a dipingere Sereni in modo poco lusinghiero in una delle sue poesie.

Tornò quindi a Trieste, dove abitava nella piccola casa di Scala Bonghi con la moglie Mariachiara, scomparsa non molto tempo fa, negli ultimi anni ossessionata dal fatto che chiunque potesse rubare inediti del marito. A Trieste trovò terreno fertile all’ex Opp, dove si spese con corsi di scrittura creativa e opere teatrali interpretate dagli stessi utenti, tra tutte “La ballata del vecchio manicomio”, andata in scena al Teatro Miela poco dopo la sua morte, nel 2002.

Di Universo sono già state pubblicate alcune poesie, testi giovanili curati da Giorgetta Dorfles, che a considerare il momento di composizione (intorno agli anni Sessanta, Settanta) diventano, non solo concettualmente, ma anche stilisticamente audaci. E poi il poema “Dalla parte del fuoco” (Hammerle Editore), pubblicato per merito dell’Associazione Iniziativa Europea. Ma ci sono ancora degli inediti.

Il Paolo narratore e traduttore rappresenta la scoperta, non solo per l’eccezionale (e nuova) lettura di Rimbaud, ma nei racconti per il coraggio di guardare nel profondo questa città e i suoi (li)miti. In breve la scontrosa grazia di Universo non è certo popolata di incanto. Di disincanto piuttosto, di consapevolezza e disillusione, capacità che fanno di Universo tra i più lucidi cantori di questa Trieste “mitteleuropatica”, territorio che si crogiola, più che essere crogiolo di differenze integrate. “Dalla parte del fuoco” rappresenta invece il lavoro per cui l’autore si è impegnato per tutta la vita, cesellando e correggendo all’infinito, con costanza maniacale. Una sorta di divina commedia con i suoi gironi ambientati tra Milano e Trieste, dove si assiste a un lento disfacimento, storico e ideologico. La domanda insomma è quella di senso, spinta oltre il limite consentito dalle istituzioni. Paolo Universo ha scritto sempre contro, reagendo a una cultura che lo soffocava, talvolta eccessivamente perentorio nel tranciare giudizi, ma difficilmente si sbagliava.

Una vita tormentata dalla solitudine, pagata nell’incapacità di accettare qualsiasi compromesso: “Ah la mia vita di poeta drammatico” ci dice “lirico fino alla pazzia”. Pochi gli amici, a Trieste frequentò soprattutto Fulvio Tomizza e Ugo Pierri, evitando i salotti buoni. Devono ancora trovare luce editoriale i suoi racconti, quelli di una Trieste scolpita nella roccia, una città che della poesia – diceva – poteva vantare solo la nostalgia.

Così come dovrebbe essere pubblicata la rivoluzionaria critica su Rimbaud (oltreché una traduzione dell’opera omnia del poeta francese). Un lavoro che Paolo ha composto, com’era nel suo stile, con una devozione maniacale. Basti pensare che ha ripercorso a piedi tutto il tragitto delle fughe del poeta francese, da Charleville a Parigi.

Quindi ogni poesia è stata esaminata da Universo anche sul fronte esperienziale, senza tralasciare l’analisi filologica e comparativa. Nascono così inedite interpretazioni di Rimbaud, sull’opera e sulla vita (come la negazione della troppo decantata amicizia omosessuale con Verlaine, ma non solo).

Lo stile, per lui, era tutto. Non era snobismo, ma quel dandismo che non può mancare in un poeta: eleganza e bellezza consapevoli di sé. Pretesa che infine lo costrinse in solitudine, frequentando piuttosto il Padiglione M dell’ex Opp dove la sua generosità si estendeva anche ai gatti del parco. E ai suoi animali ha preferito, negli ultimi anni, regalare del tempo, in genere tra le 17 e le 18, l’ora delle conferenze in città. Ma questa, appunto, è prosa.

Paolo Universo era poesia, nei suo afflati ironici: “Un giorno risorgerò/ essenziale/ tra le zampe di qualche procace antropologa/ allora forse/ mi diranno chi sono/ in maniera scientifica/ non sentimentale”. O lirici: “La primavera/ è tutta qui/ stasera/ in questa viola/ che mi muore/ in mano”. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA


 

Argomenti:piccolo libri

Riproduzione riservata © Il Piccolo