Tominz e Waldmüller al Leopold Museum: il Biedermeier unisce Trieste e Vienna

In mostra fino al 27 luglio a Vienna capolavori di pittura e arti decorative dell’Ottocento asburgico. Tra i protagonisti, anche il triestino Giuseppe Tominz con tre opere chiave

Flavia Foradini

Non ci sono evidenze che Giuseppe Tominz (1790–1866) e Ferdinand Georg Waldmüller (1793–1865) si siano mai incontrati, eppure, nel percorso della mostra aperta al Leopold Museum fino al 27 luglio col titolo “Biedermeier. L’avvento di un’era”, non sfugge un’affinità elettiva tra i due grandi artisti, entrambi in primo piano in campo pittorico nel proprio àmbito geografico.

Il nuovo ordine europeo sancito dal Congresso di Vienna del 1814/15 aveva dato il via ad un periodo repressivo dal punto di vista politico, messo in atto dal principe Metternich nell’impero asburgico. Ciononostante, proprio in quell’epoca passata poi alla storia come Biedermeier, le arti, la musica, la tecnologia, ebbero un grande sviluppo sia nella capitale, sia nei grandi centri delle “periferie”: da Budapest a Praga, da Trieste a Lubiana, da Venezia a Milano.

Nel campo della pittura, per Waldmüller come per Tominz, ciò che contava era una raffigurazione fedele della realtà. Nei loro migliori ritratti rifuggirono dagli stereotipi e cercarono nei soggetti scelti la particolarità, l’unicità umana, i tratti fisionomici, le peculiarità caratteriali. Il pittore austriaco non andò mai a Trieste o Gorizia, Tominz non andò mai a Vienna, anche se, scrive Sabine Grabner in un apposito saggio nel catalogo bilingue tedesco-inglese, «L’arciduchessa Maria Anna, sorella dell’imperatore Francesco I, nel corso di un breve soggiorno a Gorizia nel 1809 riconobbe il talento del giovane Tominz e decise di aiutarlo, procurandogli la possibilità di studiare a Roma con il pittore Domenico Conti».

Certo è che le analogie nell’eccellente livello della produzione di Waldmüller e Tominz sono sorprendenti, come rimarca ancora Grabner, che mette in luce lo spiccato realismo di entrambi, laddove la storica dell’arte fa notare come nei dipinti «la volontà di rappresentazione, i riferimenti all’agiatezza e allo spirito imprenditoriale paiono maggiori a Trieste che a Vienna, dove invece non si riteneva necessario sottolineare quelle qualità, e la tendenza era a celarle piuttosto che a celebrarle. Anzi, all’inizio del diciannovesimo secolo, nella capitale dell’impero la nobiltà, la grande borghesia e persino lo stesso imperatore amavano farsi ritrarre nell’intimità della cerchia famigliare o degli amici», in ambienti modesti, dove centrali diventavano le persone, mentre gli arredi, le tappezzerie o i mobili giocavano un ruolo secondario.

In mostra nel museo viennese, come contributo sull’arte friulana di quel tempo sono presenti tre dipinti di Tominz: un autoritratto del 1840 in prestito dal Civico Museo Revoltella, l’autoritratto “Alla finestra” proveniente dalla Narodna Galerija di Lubiana e una scena d’interno famigliare (Ritratto della famiglia Sinigaglia, 1844, da collezione privata ma in prestito ai Musei Provinciali di Gorizia dal 1947). Tutt’attorno risalta una copiosa messe di opere di grandi artisti dell’epoca: per Vienna fra l’altro Waldmüller, Friedrich von Amerling e Jakob Alt; per Budapest Miklos Barabas e Jozsef Borsos; per Praga Antonin Machek e Frantisek Tkadlik. Per l’Italia, sono numerosi i dipinti di Giuseppe Canella , Francesco Hayez e Angelo Inganni con le sue vedute di Milano. Al Leopold Museum paesaggi, ritratti, scene di vita quotidiana rurale come cittadina, ma anche esempi di mobili, suppellettili, vetri, stoffe, abiti e gioielli che compaiono nei dipinti, raccontano di un’epoca che vide non solo l’ascesa della borghesia ma anche una grande modernizzazione delle città e un rapido progresso della tecnica, con la realizzazione fra l’altro di strade ferrate come quella inaugurata tra Vienna e Trieste nel 1857, che diedero il via all’epoca dei lunghi viaggi via terra e spalancarono le porte anche al turismo.

In mostra vi sono a questo proposito numerose sorprendenti vedute anche esotiche, che certificano la voglia di movimento e di scoperte delle classi più abbienti e stupiscono per la loro attualità nel presentare in modo accattivante località sconosciute quanto anelate. Basti pensare alle opere di Hubert Sattler, con i suoi peculiari “cosmorami” di Costantinopoli, Il Cairo o New York, che sembrano creati da sviluppatori di videogiochi, ma anche le vedute brasiliane e greche di Thomas Enders.

La selezione di 190 opere curata da Johann Kräftner, a lungo direttore delle collezioni del Principe Liechtenstein, si è avvalsa di prestiti da numerose istituzioni pubbliche e da collezioni private. Il risultato è una mostra che offre un altro volto del Biedermeier: non solo come fenomeno autoctono austriaco bensì diffuso all’interno dell’impero asburgico.

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