L’ospedale è “umano” se ci entrano arte e natura

VENEZIA. "Un ospedale è una casa per l'uomo come l'abitazione è la casa per l'uomo" scrive nel 1964 Le Corbusier immaginando il nuovo ospedale di Venezia. Quando viene chiamato a progettarlo vuole innanzitutto visitare la città e la sua laguna per conoscere in profondità il territorio che il nosocomio avrebbe servito, non a caso la sua idea nel collocarlo in un'area accanto a piazzale Roma (anello di congiunzione con la terraferma) è quella di estenderlo orizzontalmente verso la gronda lagunare. Il suo intento è quello di legare strettamente il progetto al tessuto urbano di Venezia sicché il modo di vivere e di abitare così caratteristico di questa città unica al mondo diventi anche quello del suo ospedale. Le Corbusier in questo modo intendeva tradurre un concetto estremamente profondo: la malattia appartiene alla vita e va abitata così come si abita la propria casa.
Da questa idea chiave nasce a Venezia a Palazzo Ducale la mostra degli architetti svizzeri Silva e Reto Gmür promossa dal Mibact in occasione della Biennale Architettura. «Partendo dalla famosa frase di Lecorbusier con la quale abbiamo intitolato la mostra - spiega Silva Gmür - il nostro intento nel progettare un ospedale è quello di offrire al malato un luogo capace di guidarlo e rassicuralo durante il percorso della malattia, un luogo dove possa trovare intimità ma anche spazi di socializzazione, contatto con l'esterno, con la natura, con la città e con l'arte. In questo senso la luce è un elemento fondamentale della progettazione, perché offre gioia e speranza. Sostanzialmente potrei dire che un ospedale per essere davvero una casa per l'uomo deve essere umano, flessibile ai mutamenti, urbano, capace cioè di essere un pezzo della città».
Un tema, quello degli ospedali a misura d'uomo e del pericoloso impoverimento delle architetture per la malattia in rapporto ai bisogni umani, di forte attualità in tutto il nostro paese. I nosocomi oggi badano soprattutto a soddisfare le sempre più complesse necessità funzionali, tecnologiche e i parametri imposti dagli alti livelli di ricerca, ma troppo spesso assecondano mere esigenze economiche e di decongestione urbanistica uscendo dai centri storici o anche interessi speculativi e di ritorno elettorale. I bisogni specifici dell'uomo, del suo essere fragile di fronte alla malattia, la necessità del malato di vedere e percepire attorno a sé intimità, calore, serenità, vicinanza alla vita e alla città sia dal punto di vista umano che ambientale che architettonico, vengono sempre meno tenuti in considerazione.
«Negli ultimi 30 anni - spiega Silva Gmür - mi sono occupata della progettazione di ospedali e in me si è fatta sempre più forte la convinzione che stiamo lavorando con una medicina altamente tecnologizzata all'interno di strutture antiquate. Non mi riferisco al loro aspetto, ma alla loro essenza. Alla metà del secolo scorso la crisi politica ed economica ha favorito l'elaborazione di concetti innovativi sviluppando nuove tipologie edilizie nella progettazione sanitaria. Ma l'industrializzazione e il pensiero tecnocratico hanno provocato una regressione: invece di procedere alla ricerca di tipologie adeguate e di un'architettura che potesse rispondere ai bisogni dell'uomo - psicologici e fisici - la progettazione degli ospedali si è arenata in schemi rigidi. Penso ci sia una grande opportunità e una grande sfida per progetti innovativi, ma la loro realizzazione necessita di una maggiore collaborazione tra progettisti e committenti».
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