L’ossessione amorosa di Martin Eden si fa utopia, scalata sociale e passione



Accolto piuttosto bene dal pubblico (5° posto all’esordio al botteghino) dopo il successo veneziano (applausi, recensioni entusiastiche, Coppa Volpi per Luca Marinelli), “Martin Eden” di Pietro Marcello è un film visionario dalle molte facce, coraggioso e originale, con diversi registri stilistici, dal romanzo storico al mélo, intramezzati da immagini di repertorio e citazioni. Mischiando materiali e contesti, il regista fornisce del romanzo di Jack London (1909) una versione molto libera. Non più San Francisco, ma una Napoli portuale, scossa da tumulti e affogata nella miseria, benché nei quartieri alti si viva da nababbi, come se il tempo si fosse fermato alla Belle Époque.

Marcello, fattosi apprezzare per “Bella e perduta” (2015, premiato a Locarno e Nastro d’argento per il miglior docufilm), si è ispirato a quel libro perché “è il romanzo degli autodidatti, di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione e ne è stato, in parte, deluso”. Un romanzo a suo modo profetico, e infatti il film fa attraversare al marinaio protagonista (Luca Marinelli) un bel pezzo di Novecento italiano, senza coordinate temporali, in una sintesi che spiazza ma affascina.

Sulla falsariga della pagina scritta, il film racconta la parabola di Martin Eden: orgogliosamente individualista, vicino al popolo, ma scettico verso la militanza socialista. La sua personale lotta di classe nasce da una serie di incontri. Dopo aver salvato da un pestaggio il rampollo di una famiglia facoltosa, Martin entra per la prima volta in una casa della borghesia più altolocata. Volàno del suo riscatto sociale è la bella sorella del rampollo (Jessica Cressy), della quale si innamora al primo sguardo. La ragazza è colta, raffinata e naturalmente troppo ricca per il marinaio. Eppure diventa subito la sua ossessione amorosa, e anche il traguardo dello status sociale a cui lui aspira. Da qui la decisione di diventare uno scrittore. Un obiettivo apparentemente fuori dalla portata del marinaio, ma sostenuto dalla stessa Elena. Una vita bohémienne, quella di Martin, dopo questa sua decisione, fatta di disagi, di rifiuti da parte degli editori, di libri comprati ai maceri, senza alcun criterio, pur di farsi una cultura, proprio come capita a ogni autodidatta. La guerra sta per scoppiare, gli squadristi col fez maltrattano sulla spiaggia un disabile: allo scrittore non resta che fare i conti con l’inconsistenza del suo successo.

Il film è costruito sul viso, il corpo e la voce di Luca Marinelli, ormai tra i più bravi interpreti del cinema italiano, qui consacrato. Imbevuto di “spleen”, l’umore romantico più malinconico, e soprattutto di anacronistico eppure eterno amore per la cultura, il suo personaggio sembra riflettere un certo spirito del tempo di ieri e di oggi, l’utopia delle rivolte, la vacuità delle scalate sociali, ma anche le passioni che non si spengono. “Martin Eden” è divagante e poetico, a tratti pop nelle scelte musicali, libero e inventivo, popolare e raffinato. Una boccata d’aria fresca e nuova nel cinema italiano.





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