Mandel’stam, il poeta che finì nel gulag

Lui scriveva poesie, grandi poesie, ma non aveva paura del Potere. E la polizia politica dell’Unione Sovietica, attenta custode del verbo comunista imposto da Stalin, gli stava con il fiato sul collo. Tanto da arrestarlo, inquisirlo, spedirlo in un gulag, dove sarebbe poi morto il 27 dicembre del 1938.
Osip Mandel’stam, uno dei grandi poeti del ’900, rivive adesso in un libro. Un romanzo particolare, dalla scrittura intensa in cui si è subito coinvolti grazie a una prosa che ha la forza della poesia, visionario e realistico nel ricostruire la fine in un gulag siberiano nella Russia di Stalin. La pagina, tutta frasi brevi, e con continui a capo, sembra appunto composta di versi. A scriverlo è una narratrice e, non a caso, poetessa francese di origini libanesi (Premio Goncourt per i suoi versi nel 2011): Venus Khoury-Ghata.
«Gli ultimi giorni di Mandel'stam», tradotto da Laura Bosio per Guanda (pagg. 132, euro 13) racconta un uomo, costretto a vivere nella miseria e sofferenza, sempre estraneo all'omologazione della politica culturale sovietica imposta dal regime comunista. Con una visione indipendente delle cose (a cominciare dal libro “Viaggio in Armenia” del 1933) che gli costò sempre più cara con proibizione di pubblicare qualsiasi cosa, perquisizioni, imprigionamenti, vessazioni, riduzione in miseria, sino all'ultimo arresto nel maggio del '38 quando fu spedito, portando con sé solo una “Divina commedia” innamorato della sua «luminosa chiarezza», in un lager vicino Vladivostok dove morì poco dopo.
Gli fu vicina con totale dedizione sino alla fine, condividendone la persecuzione, la moglie Nadezda, che dedicò poi la propria vita a salvarne le carte, a chiederle agli amici che avevano accettato di custodirle in gran segreto, rischiando a loro volta l’arresto. A riscostruirle, spesso, da chi le aveva imparate a memoria.
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