“Mati” triestini, c’è il catalogo

Esce la raccolta del cronista Severino Baf, irresistibile collage di “legere”
La grande promessa del calcio che spreca talento e futuro tra bettole e donnine è un personaggio che sarebbe piaciuto anche a Osvaldo Soriano. Ma lo scenario è - o meglio era - Trieste, altro che le periferie argentine. Piccole storie di uomini particolari. Speciali a modo loro, tra sport e dintorni. C’è una Trieste che tutti conoscono ma pochi hanno raccontato e che adesso emerge in
“Mati come noi la mama no li fa più” (Luglio Editore, pagine 208, 15 euro)
, scritto da
Severino Baf
, storico cronista sportivo e apprezzato collaboratore de “Il Piccolo”.


Baf si è imbarcato in un’avventura complicata. Dare voce e volti a un microcosmo abitato da quelle che altrove chiamerebbero sagome e che a Trieste possono contare su un colorito campionario di definizioni. Bobe? Legere? Nagane? Scegliete voi. Il senso è chiaro: personaggi “irregolari”, gente che con disincanto prende a schiaffi anche la realtà più dura, umanità che sa rialzarsi e reinventarsi.


Nel libro, scritto rigorosamente in un dialetto triestino certificato da Livio Giust, le storie abbondano. In qualche caso tanto paradossali da rasentare la leggenda metropolitana, non fosse che vengono accompagnate da nomi e cognomi. Carlo Pocecco, ad esempio. Gli inizi: le serate alla Birreria Dreher, con i suoi Blue Boys. Grazie a una fortunata raccomandazione da parte di una soubrette della compagnia di Macario, ottiene ingaggi all’estero. Ad Amsterdam è sul palco mentre, tra il pubblico, lo sta a sentire Mick Jagger con cui poi tira tardi a chiacchierare. Finisce in Persia, ad allietare i ricevimenti dello Scià e di Farah Diba. Arriva la rivoluzione khomeinista e per due mesi Pocecco, che si fa crescere la barba, deve nascondersi in attesa che l’ambasciata italiana gli permetta di lasciare Teheran.


Gianni Cattai arriva al Milan e in un contrasto in allenamento manda a gambe all’aria nientemeno che Gianni Rivera, provocando un botta e risposta tra il Paron Rocco e Nils Liedholm. In un’amichevole Cattai incanta persino Gianni Brera, peccato che quando si tratta di accordarsi con il Milan sull’ingaggio la proposta sia irrisoria.


E lui se ne torna a Muggia, in tempo per diventare l’anima del Carnevale.


Tipi così, che non si smontano davanti a nessuno. L’indimenticabile presidente della Roianese Claudio Di Marcatonio fa il capostazione. Incaricato di dirigere l’arrivo del treno del Presidente della Repubblica a Monfalcone, la sera prima fa baldoria e rincasa alle cinque del mattino. La moglie, vestito com’è, lo scaraventa nella vasca da bagno e gli prepara una robusta razione di caffè.


Un paio di ore dopo Di Marcatonio è al suo posto di lavoro. Il Presidente Giovanni Leone, lasciando la stazione, gli rivolge una sorta di saluto militare: «Grazie capo». E il roianese che solo poche ore prima faceva bisboccia gli risponde alzando la mano: «Okay, Johnny!». Non si sa quale sia stata la reazione di Leone...


L’arbitro internazionale Fabio Baldas combina scherzi degni di “Amici miei”. La vittima designata è il guardalinee Dino Lodolo. Spesso le burle vengono svelate proprio una manciata di minuti prima che la terna arbitrale faccia ingresso in campo. Altri tempi. Quasi millenni fa, in confronto alla Var del calcio di oggi.


Tempi in cui una bravata da brivido è lanciare un’Abarth 850 a tutta velocità sul Molo Audace, frenando all’ultimo momento. O irrompere - in condizioni non propriamente sobrie - in sella a una Vespa in un bar e cercare di tranquillizzare il titolare e i clienti con una battuta tutta triestina: «Tranquili, xe una vespa ma no la ve sponzi...».


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