Nelle rime storte del “Cabareto” uno sguardo corrosivo sugli autoctoni



«Tra un calice de rosso e una note in bianco go butà zo ste poesie storte come un oki al momento giusto. Ah, e se te legi e no te ridi, mi no centro, xe colpa tua che no te ga iumor». L'avvertimento che chiude l'"intro" è subito sfatato: impossibile resistere alla carica travolgente di "Cabareto", primo libro di Luca Cattonaro che verrà presentato oggi alle 18.30 al Victoria Hotel Letterario. Uscito «grazie alla generosa miopia dell'editore» per Calembour (pagine 60, euro 8) - casa triestina con alle spalle le "Fisime", normali e da passeggio, di Stefano Dongetti ma anche opere per bambini come il delizioso "Nola là noo" di Sara Stulle - "Cabareto. Un pochi de tochi patochi e no pochi biceri" a illuminante sottotitolo racconta «la gente di una città che quando non si prende troppo sul serio sa essere allegra e autoironica come poche». E lo fa non in prosa ma ambiziosamente in versi, attraverso una raccolta di esilaranti «poesie storte che raddrizzano l'umore»: non manca neppure il consiglio dell'autore di come gustarsele al meglio, tra musica, sbecolezi e vini rigorosamente domaci. Perché, inutile dirlo, il dialetto fa da padrone ma è spassosa anche la presenza di un’apposita traduzione, compìta e dettagliata, «per foresti e regnicoli». Chicca ulteriore, al "liston" di questi surreali componimenti segue, "fora busta", un dialogo finale tra i due più noti poeti alabardati, "Umbi" e "Virgi" al secolo Saba e Giotti, fatti chiacchierare come amici contemporanei.

Che siano fulminanti o più strutturate, le rime di Cattonaro montano fino ad assestare il colpo che non dà scampo, scandagliando l'universo della triestinità oltre il folklore di osmize e "Topi". Originali, mai banali, a tratti corrosive, raccontano Feisbuc, amori che ingannano, l'Istria, il sindaco "peripatetico", lo strombazzare in galleria naturale, i "bebi" pensionati come le tante, mitiche coppie cittadine che non si arrendono allo scorrere del tempo proponendosi eternamente giovani e sgargianti.

Tra odi enologiche di sapore leopardiano e un pizzico di nostalgia affettuosa per un tempo che non ritorna, tra un "Orzouei" e una "uitni iuston che canta", l'autore cattura in immagini vivide la frenesia e l'indecifrabilità del nostro quotidiano traducendole nelle idiosincrasie tipiche del triestino patoco. Non mancano anche temi caldi come in "Foresti" dove, dal cosmopolitismo di mille nazionalità e razze l'autore restringe l'ambito fino al "triestin melon" cui "za xe foresta Monfalcon": «te vardi el mondo del cucherle», scrive con una certa finezza di sguardo, «te incontri afghani, pakistani, magrebini e siriani in fila indiana, e te fa finta de no veder co se cala dele alte». La chiusa funziona, e fa sorridere e pensare col suo «te son e te sarà sempre più misto de una griliata de Prunk».

Classe '68, un innegabile feeling con le parole da copywriter qual è, Luca Cattonaro è nato a Firenze ma vive a Trieste da sempre, città che «psicanaliticamente ama e odia appassionatamente». «Non uso un triestino da purista - racconta - anzi: è "storto" anche nelle parole e nelle metriche scelte. Soprattutto, mi sono divertito a trovare dei termini che in triestino hanno un certo significato e in italiano tutt'altro».

«Volevo innanzitutto che facesse ridere me - aggiunge - e comunque il libro è nato come una cosa per gli amici, per divertirsi insieme, creando anche personaggi filtrandoli da me stesso, dalle mie esperienze, dai miei amici, in una dimensione familiare». Non un termine detto a caso. L'amico Guido Pezzolato «fantastico illustratore triestino» lo ha ritratto in copertina, Lorenzo Fragiacomo, più volte citato, è la colonna sonora da accompagnare alla lettura, Rino Lombardi l'editore che ci ha visto un libro e che lo ha seguito con passione. «È un testo, quindi, che nasce molto in amicizia e che molto deve agli amici - sottolinea Cattonaro - : ora mi auguro che possa uscire da questa cerchia per far sorridere anche gli altri che lo leggeranno». —

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