«Oggi il commesso viaggiatore siamo tutti noi»

Elio De Capitani da questa sera al Rossetti di Trieste con il dramma di Arthur Miller: «Parla dell’uomo contemporaneo»
Di Nadia Pastorcich

Tra passato e presente si tessono le riflessioni di Willy Loman, giunto alla fine dei suoi giorni. Arrivato a 63 anni si ritrova rifiutato dal sistema che ha sempre idolatrato, rimanendo escluso dal sogno americano. In “Morte di un commesso viaggiatore” «Arthur Miller racconta che per tutti quelli che hanno successo, ce ne sono molti di più che non ce l’hanno e che sono altrettanto indispensabili al sistema», spiega Elio De Capitani. «Il sistema non si basa sul sogno: il sistema si basa sulla diseguaglianza e sulle ineguali distribuzioni delle ricchezze». Ed è proprio De Capitani a fianco alla moglie, Cristina Crippa, a portare sulle scene l'opera di Miller, curandone anche la regia. A seguirli sul palcoscenico: Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Gabriele Calindri, Giancarlo Previati, Daniele Marmi, Roberta Lanave, Vincenzo Zampa, Marta Pizzigallo. Lo spettacolo sarà ospite del Teatro Stabile del Fvg al Rossetti, da oggi a domenica.

Elio De Capitani, il teatro non è stata la sua vocazione, ma un caso...

«Sono stato pregato da mia madre, che organizzava uno spettacolo con una sua collega, in un centro culturale di Milano, di portare alcuni miei compagni di liceo, al debutto di una giovane compagnia. Durante lo spettacolo è scesa in platea un'attrice con un vestito viola, con degli spacchi incredibili, con i capelli rossi, una voce caldissima e suadente. Mi sono subito innamorato di lei. Per conoscerla sono entrato in quel gruppo teatrale; prima ho cominciato come facchino, poi sono finito a recitare. Un mese dopo mi sono messo assieme a questa donna favolosa, Cristina Crippa, che è mia moglie da 44 anni».

Cosa comporta recitare accanto alla moglie?

«Cannibalizziamo la nostra vita domestica. Ora interpretiamo due personaggi che sono ormai un mito, però è inevitabile che in loro ci sia anche una parte di noi».

Qual è la missione del Teatro dell’Elfo che lei dirige?

«Quella di mostrare che il teatro oggi può essere una cosa viva. Quando abbiamo incominciato, nei primi anni ’80, sembrava che il teatro contemporaneo non interessasse agli italiani, che ci potessero essere soltanto i classici o l'intrattenimento. Invece avevamo questa passione per le grandi narrazioni dell’oggi, fatte da autori sconosciuti in Italia, ma importanti nel mondo».

Come mai “Morte di un commesso viaggiatore”?

«Non l’ho scelto io: è stato un furto. Me l'ha proposto Fernando Bruni – coregista e codirettore dell’Elfo – dicendomi che avevo l’età giusta e che era disposto a dirigermi. Io, però, ho voluto fare tutto da solo. Lui mi ha dato il “la” e siccome collaboriamo da 44 anni, anche se gli ho “scippato” l'idea, lui ha capito che questo sarebbe stato lo spettacolo della mia vita».

Il commesso viaggiatore di oggi e quello di una volta: quanto si somigliano?

«Non si somigliano per niente. Curzio Maltese ha detto che questo spettacolo non parla più del commesso viaggiatore, bensì dell’uomo contemporaneo. Siamo diventati tutti dei commessi viaggiatori. L'idea che la società ci chieda il self branding (vendere se stessi) per i giovani è disperante».

Quanto la società è vicina al fallimento?

«La società di oggi, per certi aspetti, è un successo incredibile, solo che è un successo di pochi. La società non fallisce: allarga a molte più persone l’altro lato della medaglia del successo. E il successo riguarda sempre meno persone, ma c’è un meccanismo illusorio, organizzato, per far credere a tutti che ce la possiamo fare, che dipende dal nostro impegno. Da questo punto di vista, questa società è al suo culmine; forse è sbagliato il modello».

E come si potrebbe raggiungere un modello adatto?

«Questa società è nel suo modello adatto. La questione è che non siamo stati in grado di organizzare nessun altro modello, perché il modello alternativo, il capitalismo di Stato, ha mostrato ben peggiori fallimenti. L'umanità ha un compito, che dai tempi dei greci non si riesce a risolvere: quello del bene di tutti e di una società che si sviluppa. Forse siamo qua apposta per inventare un'altra società».

Qual è il sogno della società?

«L’arte. Da sempre le società hanno lasciato una traccia per il futuro. L'arte è forse l’unica cosa che siamo in grado di produrre, come alternativa alla società. Quindi non è questione di sognare, ma di creare. E gli artisti hanno questa funzione. Io posso fare solo questo, perché sono un artista».

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