Oksana Plekan: dai monti d’Armenia al Sincrotrone inseguendo la luce

Una scienziata che ha fatto pace con la bora

TRIESTE È armena, come i padri mechitaristi che giunsero a Trieste tre secoli fa e lì si fermarono, dando vita a una fiorente comunità che ebbe la propria chiesa, la propria scuola e i propri grandi uomini, dal medico e benefattore Gregorio Ananian al chimico Giacomo Ciamician. Ma mentre i primi armeni si fermarono a Trieste attratti dalla crescita del suo porto e dalla tolleranza religiosa che caratterizzò l’epoca imperiale di Maria Teresa e Giuseppe II d’Asburgo, nel terzo millennio a convincere la fisica Oksana Plekan a trasferirsi qui è stata la fama che la città giuliana ha saputo guadagnarsi in ambito scientifico. «Trieste mi è piaciuta fin dall’inizio per la quantità di enti scientifici di prestigio che ospita nel suo territorio», commenta. La scienziata lavora a Elettra Sincrotrone, nella linea di luce Ldm (Low Density Matter) del laser a elettroni liberi Fermi. Plekan, che è arrivata a Trieste per la prima volta nel 2005, ormai ci vive stabilmente da otto anni: la sua seconda figlia, la piccola Sophie, è nata qui quattro anni fa, mentre la figlia più grande, nata in Ucraina, studia già da qualche anno all’università di Bologna.

Come ha scoperto Trieste?

Ho scoperto prima il Sincrotrone e poi Trieste. Sono arrivata qui nel 2005, a 29 anni, per lavorare a Elettra grazie a un contratto a tempo determinato e mi sono fermata a Trieste un paio d’anni. L’impatto non è stato dei migliori, perché non parlavo italiano e l’inglese, al di fuori dell’ambito lavorativo, lo conoscevano davvero in pochi. È stato difficile anche ottenere il visto, ho perso un mese di lavoro aspettando che mi arrivasse. Per fortuna la mia coinquilina di allora, con cui siamo ancora in contatto, aveva studiato russo all’Università: è stata lei ad aiutarmi a districarmi tra le maglie della burocrazia italiana. Scaduto il contratto ho rifatto le valigie e mi sono trasferita in Danimarca, dove ho lavorato per tre anni. Sono tornata qui nel 2012, grazie a un altro contratto, stavolta di lunga durata, con Elettra: mi avevano proposto un lavoro anche ad Amburgo, ma ho preferito Trieste.

Perché?

Dopo tre anni passati in Danimarca mi ero resa conto di quanto conta il fattore climatico per una buona qualità di vita. Ho sofferto molto per la scarsità di luce: per quanto lì l’organizzazione fosse perfetta il mio umore ha risentito pesantemente dei tanti mesi bui. E poi nei due anni vissuti a Trieste avevo imparato l’italiano e avevo stretto molte nuove amicizie, soprattutto con i colleghi: è stato bello riabbracciare questa mia seconda famiglia.

Vive in città?

No, per quanto mi piacciano certi angoli della città con la mia famiglia ho preferito vivere sul Carso. Lo trovo molto più a misura di bambino rispetto al centro triestino: a Opicina abbiamo il bosco dietro casa, la vista sul mare e l’asilo che frequenta mia figlia è a pochi passi. L’aria è più pulita e anche d’estate non fa mai troppo caldo.

La differenza più grande tra Trieste e il luogo dov’è nata?

Decisamente la bora! Mi sono scontrata da subito con questo vento, appena arrivata a Trieste: io e la mia coinquilina dovevamo recarci in Questura per il mio permesso di soggiorno e c’era una bora fortissima. Rimasi stupefatta dal fatto che ci sollevasse letteralmente da terra, obbligandoci ad abbracciare tutti i lampioni incontrati nel nostro cammino. Ma ora ci ho fatto la pace, ho imparato a conviverci.

Somiglia al resto d’Italia?

Semmai è simile a Vienna: quando ci sono andata ho trovato molti punti in comune tra la capitale austriaca e questa che è diventata la città che mi ha adottato. D’altra parte Trieste era il porto dell’impero austroungarico, per come la vedo io batte Vienna proprio per la presenza del mare. In Armenia ho vissuto circondata dalle montagne, al mare ci andavamo ogni quattro anni: quando sono arrivata qui non riuscivo a credere che avrei vissuto col mare a disposizione.

Ha cambiato qualche sua abitudine vivendo qui?

Sono diventata dipendente dal caffè. Prima non l’avevo mai bevuto, qui l’ho scoperto nelle sue mille declinazioni, dal capo in b al gocciato. Ricordo ancora quando sono entrata per la prima volta al bar di Elettra e sono rimasta rapita dall’aroma di caffè che si respirava nell’aria. Ancora oggi ogni tanto prendo l’autobus per Muggia per godere dell’odore che esce dagli stabilimenti della Illy.

Ha letto qualche libro scritto da autori triestini?

Il primo libro che ho letto in italiano è stato “Va’ dove ti porta il cuore”, di Susanna Tamaro. Me l’ha regalato un amico triestino e ho trovato che l’esortazione finale a inseguire le proprie passioni rispecchiasse appieno il mio modo di sentire.

E scienziati triestini ne conosce?

Conosco alcuni grandi fisici che si sono fermati per un periodo a Trieste. Come Ludwig Boltzmann, morto suicida a Duino, o il pioniere della fisica quantistica Erwin Schrödinger, che stazionò a Sistiana da soldato durante la prima guerra mondiale. Probabilmente sostò anche nel luogo dove, circa 50 anni dopo sarebbe sorto il Centro internazionale di fisica teorica. —

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