Omaggio a Mazzacurati con una bella trilogia del cantore del Nordest

A un anno dalla prematura scomparsa di Carlo Mazzacurati, Rai Cinema (01 Distribution) propone in un unico cofanetto tre film chiave del regista padovano definito il “cantore del Nordest” (e legato anche a Trieste per “Vesna va veloce”, 1996). Sotto il titolo “La trilogia del Po” la raccolta comprende (oltre a un piccolo libro curato da Federico Pedroni) tre opere uscite a distanza di un decennio una dall’altra: il folgorante film d’esordio “Notte italiana” (1987), “L’estate di Davide” (1998) e “La giusta distanza” (2007). Tre storie struggenti tipiche del “realismo magico” del regista, interprete dei mutamenti antropologici e sociali del Veneto e narratore indimenticabile del paesaggio del delta del Po. Mancherebbe nel cofanetto “La lingua del santo” (2000), che proprio sulle foci del Po si conclude, dove le maree lagunari diventano addirittura una sorta di metafora esistenziale. Ma questa “Trilogia” è comunque benemerita: un bell’omaggio ricordando la sua tematica portante e quasi ossessiva, recuperando anche l’esordio “Notte italiana”, con Marco Messeri, Giulia Boschi e Roberto Citran.
Si tratta questo di un film importante non solo di per sé, ma anche per ciò che rappresenta per il cinema italiano a metà anni ‘80. Piccola produzione (la prima della “Sacher” di Nanni Moretti, che allora inseguiva il mito del tycoon indipendente Redford), “Notte italiana” diventa l’opera spartiacque fra l’irraggiungibile cinema d’autore precedente (diviso fra figure titaniche e grande commedia all’italiana) e l’aspirazione successiva a un cinema “medio” di qualità che superi il neorealismo, fedele alle proprie radici ma anche attento ai generi del cinema italiano e americano. L’opera prima di Mazzacurati sarà così un modello per i vari Luchetti, Soldini, Archibugi, Virzì, Ozpetek, Muccino, Molaioli, Garrone e Sorrentino.
Storia di intrighi sull’illegalità diffusa in una comunità padana fra politica, industria e speculazione, il film sembra quasi presagire la bufera giudiziaria che avrebbe investito 25 anni più tardi il padre del regista.
Paolo Lughi
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