Panariello: «Qui a Trieste mi sono rimesso in gioco»

L’attore sul set di “Uno per tutti” con i colleghi Thomas Trabacchi e Fabrizio Ferracane Il regista Calopresti: «La città mi ha fulminato. Contiene tutte le possibilità della storia»
Di Elisa Grando

TRIESTE. «Mi sento come un bambino. A 54 anni pensi di aver fatto tutto e invece ti trovi a ricominciare: state assistendo a un parto», sorride Giorgio Panariello. L'attore toscano sta rinascendo a Trieste grazie al primo ruolo drammatico della sua carriera nel film "Uno per tutti" del regista Mimmo Calopresti, che terminerà le riprese in città la prossima settimana. «Mi sono messo in discussione. Mimmo mi ha dato fiducia: sono come un calciatore che entra in campo in un ruolo non suo ma sente la fiducia dell'allenatore. Rimettermi in gioco è sempre stata la mia caratteristica. Potrebbe essere un nuovo sviluppo della mia carriera: ho in mente alcune storie che hanno dentro corde diverse da quelle della commedia».

Panariello ha incontrato i giornalisti, con gli attori Thomas Trabacchi e Fabrizio Ferracane, il regista e il produttore Gianluca Curti di Minerva Pictures, in una ristretta conferenza stampa all'NH Hotel, per raccontare le emozioni di questo passaggio drammatico: «Interpreto Vinz, un poliziotto moderno, non alla Clint Eastwood né alla "Gomorra", ma un poliziotto reale dei giorni d'oggi, con dei problemi oggettivi, di famiglia, di stipendio. E, in questo caso, del ritrovare dopo tanto tempo amici perduti».

Gli amici sono Saro, un medico che ha deciso di esercitare in Calabria dopo aver studiato a Trieste, (interpretato da Thomas Trabacchi, che è molto legato alla città: nella fiction "C'era una volta la città dei matti" su Basaglia interpretava proprio un triestino) e il ricco imprenditore Gil (Ferracane, già protagonista di "Anime nere" di Munzi): i tre si ritrovano di nuovo uniti dopo un fattaccio che riguarda proprio il figlio di Gil e che fa riemergere il loro passato. Fra gli attori si è creato uno spirito di gruppo anche sul set triestino: «La sera siamo al ristorante, magari con una grappa in più. Il giorno dopo sul set entriamo così tanto nei personaggi che magari dobbiamo guardarci malissimo: è il fascino di questo mestiere», racconta Panariello.

«Sto lavorando molto bene a Trieste: la città mi ha fulminato», dice Calopresti. «Ci sono dentro tutte le possibilità di questo racconto, il presente e il passato, il porto industriale e il Porto Vecchio». Il film, tratto dall'omonimo libro di Gaetano Savatteri, è «una storia sull'Italia di oggi, nonostante l'ambientazione in Porto Vecchio sembri "C'era una volta in America". A me viene in mente "C'era una volta in Italia", una bella Italia che stiamo per perdere. Ci promettono un futuro che non arriverà mai, mentre invece il futuro siamo noi, adesso. Ci dobbiamo occupare delle nostre famiglie, del nostro lavoro, prendere il destino nelle nostre mani, con tutte le contraddizioni degli esseri umani. Però nel film non c'è uno sguardo sociologico o politico, ma molto noir».

Nel cast c'è anche Isabella Ferrari, nei panni della moglie di Gil: «Si è trasformata in una perfetta triestina», dice il regista. «Interpreta con intensità una madre con un figlio che non vuole saperne di fare il figlio: mi colpisce che molti giovani abbiano come progetto quello di partire. In questo film si parla anche di come non perdere i nostri giovani».

A otto anni dal suo ultimo film di fiction, dopo aver avuto una figlia e diretto documentari importanti, Calopresti ha potuto realizzare il film grazie al coraggio e la fiducia di Gianluca Curti: «È un tipo di storia che i nostri grandi cineasti avrebbero girato più spesso negli anni '50, '60, '70. Poi per ragioni commerciali questo filone è stato abbandonato», dice il produttore. «Oggi il cinema italiano si è ripreso: fa mediamente il 30% degli incassi, però il 90% dei primi film italiani al box office sono ancora commedie».

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