Peter Hook porta a Pordenone le hit di Joy Division e New Order

Giovedì al Music in Village uno dei membri fondatori di entrambe le band «Avremmo potuto conquistare il mondo, ci fermò la tragedia di Ian Curtis»



Riascoltare le hit dei Joy Division e dei New Order suonate da uno dei membri fondatori di entrambe le band britanniche: sarà possibile alla 26° edizione del Music in Village, organizzato da Complotto Adriatico al Parco IV Novembre di Pordenone, dove giovedì arrivano Peter Hook&The Light che promettono: «Con cuore e passione, cerchiamo di dare a quelle canzoni il gusto e il vigore che meritano». In apertura alle 21, i Covent Garden, le selezioni musicali sono a cura di E. Sist dj selecter, l’ingresso è gratuito.

Peter Hook, cantante, compositore, polistrumentista, è stato bassista e co fondatore dei Joy Division, band di vita breve e intensa: il cantante Ian Curtis muore suicida nel 1980, ma i due album “Unknown Pleasures” e “Closer” diventano pietre miliari; in seguito i membri sopravvissuti fondano i New Order che al post punk e alla new wave aggiungono elementi dance e elettronica. «Sono stato in Italia tante volte – racconta Hook – un paese incredibile, il pubblico, però, è sempre stato più preso dai Joy Division, è stata una lotta conquistarlo con i New Order, con The Light è andata meglio».

Com’è nata l’idea?

«Nel maggio 2010, per celebrare il trentennale della morte di Ian, suonai per intero “Unknown Pleasures” al Factory Club di Manchester. La serata andò così bene che arrivarono tante richieste. Si sono anche accese le polemiche in rete, ma alla fine credo abbiamo convinto la gente, grazie alla cura dedicata al rifacimento dei brani. Il repertorio dei Joy Division e dei New Order è così pieno di pezzi seminali che i fan possono finalmente risentire dal vivo e lo apprezzano».

Il resto della band?

«Erano con me nei Monaco e nei Revenge, Andy Poole, Paul Kehoe, David Potts che ha sostituito Nat Wason, anche mio figlio Jack faceva parte del gruppo ma ci ha lasciati per suonare con gli Smashing Pumpkins, ora c’è Yves Altana al basso e Martin Rebelski alle tastiere. Una gran bella squadra».

Lo show?

«Non possono mancare le hit più celebri che il pubblico si aspetta, ma è bello inserire anche pezzi meno noti».

Cos’avevano di speciale i Joy Division?

«Una delle più grandi band mai esistite, che avrebbe potuto conquistare il mondo. C’era grande sinergia tra noi che si traduceva in intesa musicale sul palco. È proprio un gran dolore che a causa di una tragedia, quella storia non sia potuta continuare».

Un momento felice condiviso con Curtis?

«Ce ne sono tanti. Ian è stato mal interpretato, descritto come un solitario meditabondo. Certo, era un tipo cerebrale, con un’abilità di scrittura e un’immaginazione fantastiche ma quando eravamo a prove o a registrare, sosteneva ed esortava il resto della band. Era creativo e in questo contagioso, eravamo giovani e da lui assorbivamo facilmente. Prendiamo “Love Will Tear Us Apart” : Ian scrisse il testo in pochi giorni, e la mettemmo assieme in un pomeriggio. Sembrava semplice portare a termine le cose, farle funzionare, c’era fiducia piena e quando abbiamo cominciato con i New Order, abbiamo patito la perdita di quel tipo di sicurezza».

Due band immortali?

«È fantastico, e lo ascrivo all’integrità della musica e alla forza di entrambe le formazioni. Mi ha sorpreso davvero il range di età ai concerti: con i The Light mi aspettavo miei coetanei ma mi sono ritrovato anche schiere di giovanissimi. È davvero una prova di come quei dischi rimarranno sempre, come un testamento».

Un bilancio?

«È stata una lotta faticosa, però con tante soddisfazioni. Ma è tipico del rock’n’roll: tormento e estasi». –



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