Piazza Fontana, il sequestro Moro, Gladio quarant’anni di “pasticciacci” italiani

Un volume firmato dal giornalista triestino Fabio Isman ed edito dal Mulino ripercorre i tanti intrighi della Repubblica, alcuni ancora oscuri 

l’intervista



Il titolo, 'L'Italia degli intrighi' (Il Mulino, 153 pagg., 12 euro), l'ha scelto come omaggio alle sue radici triestine. Fabio Isman, giornalista del 'Messaggero' per una vita, nato quasi per caso a Monza dove la sua famiglia si era trasferita durante gli anni di guerra, è cresciuto tra via dell'Oratorio, la casa paterna, e via Corsi, dove abitavano i nonni Levi e a casa si parlava in dialetto. Così, per raccontare trent'anni di grovigli italiani, dalla fine degli anni Sessanta al 2000, che lui ha vissuto in presa diretta (con tanto di quattro mesi di carcere per aver pubblicato i verbali degli interrogatori di Patrizio Peci) si è ricordato di quello che diceva suo nonno: "cossa xe sti intrighi?". Intrighi, voce veneta, da intrico, viluppo, gliommero per dirla come il commissario del Pasticciaccio gaddiano. E l'Italia delle stragi e del terrorismo, da piazza Fontana al sequestro Moro, è stata un gomitolo di brutte storie, un pasticcio che non si è ancora (e non sarà mai?) sciolto. «Il libro sta andando bene - commenta soddisfatto Isman - l'editore è convinto che abbiamo intercettato una domanda inespressa: chi in quegli anni non c'era voleva sapere; chi era presente forse ha dimenticato. E il titolo, sono convinto, ha aiutato. Questi non sono misteri, sono intrighi».

Intrighi che hanno rappresentato un unicum italiano. Come mai solo noi abbiamo avuto le stragi e il terrorismo? Perché c'era il Pci più forte d'Europa?

«Il Pci durante la guerra fredda costituiva un problema. Già negli anni Cinquanta, con i soldi americani, costruiscono la base di capo Marrargiu, dove si addestrano quelli di Gladio, la struttura segreta anticomunista. Ma va detto che l'amministrazione pubblica dopo il fascismo non si è rinnovata, non c'è stata nessuna epurazione, i dirigenti erano gli stessi. Questa continuità di destra nella struttura dello Stato ha aiutato a creare un clima antiprogressista».

Oltre a capo Marrargiu, in Sardegna c'è stata un'altra base segreta che nessuno conosceva e che lei descrive nel libro.

«Il centro radar di Olmedo, a 15 km da Alghero, il più vasto sistema di comunicazione che c'era in Europa. Era una struttura probabimente della Nato che è rimasta in servizio fino al 1994, dopo è stata smantellata. I militari l'hanno abbandonata e ora ci vivono i senzatetto e gli animali randagi. Ci sono ancora le torri che sostenevano le antenne».

Oggi ricorrono i quarant'anni della strage di Bologna. Lei ricorda come sia provato che lo Stato, attraverso i suoi servizi 'deviati', ha intralciato in ogni modo le indagini. E aggiunge che i soldi, 5 milioni di dollari, per pagare l'attentato, li ha messi Gelli.

«Quei soldi erano usciti dal Banco Ambrosiano di Calvi, il banchiere morto a Londra. Lui e Sindona sono altri personaggi di quel groviglio».

Lei racconta del suo incontro con Sindona a New York.

«Ripeteva che era perseguitato perché anticomunista. Non è diventato l'uomo più ricco d'Italia per un pelo. Quando per quotare in borsa la sua banca gli mancava un parere del comitato per il credito, Ugo La Malfa, che ne era il presidente, non l'ha convocato per due anni pur di bloccare Sindona».

Nel libro si parla anche di un fattaccio delle nostre parti, l'attentato alla scuola slovena dell'ottobre 1969.

«È stato uno dei primi attentati del gruppo di Freda e Ventura, ma non si è mai capito se l'esplosivo proveniva dal nascondiglio che Gladio aveva ad Aurisina. Lì comunque c'era qualcosa che non doveva esserci, vuol dire che qualcuno lo usava; caduto quello hanno dovuto ritirare le armi da tutti gli altri».

Pochi mesi dopo scoppia la bomba a piazza Fontana.

«E cominciano i depistaggi. Lo strano è che cominciano quelli degli Affari riservati, la polizia, ma il lavoro lo continua il Sid, i militari. È strano, perché i due servizi non andavano d'accordo. C'è stata una eterogenesi dei fini».

Le Brigate rosse: anche dietro di loro c'erano i servizi?

«Non ho trovato nessun indizio al proposito».

Sul caso Moro ci sono verità nascoste?

«No, penso si sappia tutto».

Questo groviglio dura per trent'anni, finisce perché cambia il contesto o perché hanno vinto loro?

«In parte finisce perché finiscono i partiti». —



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