Quando Pasolini pensava a un film dai Promessi sposi

Il docente Fabio Danelon ricostruisce la collaborazione tra lo scrittore e lo sceneggiatore De Concini
Non si possono forse immaginare due autori più distanti tra Manzoni e Pasolini, eppure quest'ultimo nutriva un certo interesse nei confronti dello scrittore milanese, al punto da lavorare, attorno al 1960, a un trattamento cinematografico dei Promessi sposi. Sulla vicenda si sofferma Fabio Danelon, professore di Letteratura italiana all'Università di Verona, nell'ultimo numero di "Studi Pasoliniani" (n. 11, 2017), pubblicata da Fabrizio Serra Editore).


Il testo era uscito, sempre su "Studi Pasoliniani", nel 2015 per la cura di Gian Piero Brunetta. Autore del trattamento è stato, insieme a Pasolini, lo sceneggiatore Ennio De Concini (1923-2008). In realtà, come ricorda Danelon, alcuni amici di Pasolini, tra cui Enzo Siciliano e Laura Betti, hanno messo in discussione la paternità pasoliniana di quel lavoro (di cui esiste solo un dattiloscritto "pulito", cioè senza correzioni autografe), ritenendo che in qualche misura De Concini abbia enfatizzato il contributo dello scrittore friulano. Ma, scrive Danelon, «ipotizzare tale coautorialità come invenzione di De Concini mi pare senza apprezzabili ragioni concrete». È vero - continua lo studioso - che «è impossibile stabilire con sicurezza quanto nel testo sia da attribuire a Pasolini e quanto a De Concini, tuttavia Pasolini vi mise dentro un coinvolgimento personale più diretto che in altri soggetti e sceneggiature di quegli stessi anni». Anni, va ricordato, in cui lo scrittore collaborò assiduamente con l'industria cinematografica, sia per ragioni di necessità economica sia per un interesse sempre più spiccato nei confronti della settima arte (al 1961 risale il primo lungometraggio pasoliniano, “Accattone”). Sulla base di alcune precise osservazioni in merito alla struttura e ai contenuti del trattamento cinematografico, Danelon giunge concludere che «è ragionevole attribuire a Pasolini un ruolo d'indirizzo sostanziale nel trattamento». Se l'idea iniziale di De Concini era, infatti, quella di una riduzione ironica e farsesca del romanzo manzoniano, Pasolini preferì sviluppare il soggetto nella dimensione di un racconto di pellegrinaggio e di una storia familiare idillico-drammatica, «con un implicito coinvolgimento autobiografico - scrive Danelon - che agirebbe attraverso la memoria del non facile trasferimento a Roma dello scrittore con la madre nel 1950». Purtroppo di quel trattamento, voluto dal produttore cinematografico Carlo Ponti, poi non si fece nulla.


Roberto Carnero


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