Roveredo e Soldà, il dramma di essere profughi

Un nuovo spettacolo dello scrittore e dell’attore-regista in scena giovedì e venerdì al Teatro Stabile Sloveno di Trieste
Di Pino Roveredo

Debutta giovedì alle 20.30, con repliche venerdì, al Teatro Stabile Sloveno il nuovo spettacolo di e con lo scrittore Pino Roveredo e l’attore Maurizio Soldà, che firma anche la regia, “Profuganze”, che nasce da una coproduzione regionale. Appunti di riflessioni che portano Roveredo e Soldà a dire che questi profughi, nel loro dolore, si somigliano tutti e che chi comanda ha da sempre determinato chi se ne doveva andare. Quindi da una parte l’identità, lo stato nazionale, i confini e d’altra parte l’escluso, l’esule. Saltellando fra la Storia e le piccole, grandi storie individuali, tra il populismo e la propaganda. In scena ci sarà anche il musicista Mariano Bulligan, che suonerà dal vivo.

Pubblichiamo un passaggio del testo di “Profuganze” per gentile concessione.

di PINO ROVEREDO

Le nostre giornate passano con le ore senza numero, il tempo è un'incognita, tanto che novembre assomiglia a marzo, maggio è identico a settembre, è tutto uguale! La pioggia bagna il sole, il sole asciuga la pioggia, l'alba insegue il tramonto, e il tramonto attende di essere ingoiato dalla notte. Ecco, è la notte il momento peggiore, ed è lì che i pensieri esplodono col rumore del tormento…

Di notte si osserva il cielo, si guardano le stelle, e ci si accorge che non è vero che le stelle sono tutte uguali, nelle nostre terre erano diverse, avevano un'altra luce, un movimento lento, e se le fissavi intensamente riuscivano anche a parlarti. Quanti balli sopra quel cielo, quante canzoni che ci accompagnavano il sonno, quante scintille di fuoco che ci accendevano il sogno.

Le stelle qui, sono altre stelle, queste non parlano, non si muovono, e ti negano persino la luce viva della speranza. Qui tutto è diverso, non solo le stelle. Qui anche l'aria è un'altra aria, non ha la leggerezza del respiro, ma il fiato pesante della sopportazione. Le parole hanno un altro suono, qui non cantano, non parlano, solo piangono. Qui le gambe hanno smarrito l'euforia del salto, per loro solo i passi a striscio della rassegnazione. E le mani, le mani, quelle che riuscivano a lavorare e coltivare i miracoli della terra, sono state castigate e condannate all'immobilità dell'ozio!

Qui continuiamo a camminare senza andare, continuiamo ad essere senza esistere, e continuiamo a frequentare la vita senza vivere. No, qui non cambia mai niente, il sole continua a mangiare la notte, e la notte digerisce i suoi dolori. E noi continuiamo ad illuderci che un giorno, uno qualsiasi, arrivi una notte che porti una piccola voglia di cantare, e di dondolarci sopra un soffio diverso, e scoprire che lassù in alto c'è una stella che è scappata dal nostro cielo, e che con l'uso antico del dialogo ci racconta che domani, un domani qualsiasi, ci sarà concessa la strada del rientro, e così noi torneremo alle nostre origini e ritroveremo la parole che parlano, le gambe che danzano, gli spigoli che sorridono,e i miracoli che bagnati con l'acqua del sudore, tornano ad uscire dalla terra, la nostra terra, togliendoci finalmente il castigo pagano della profuganza.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo