Rudolf Baumbach poeta e maestro di Kugy che tentò invano di domare il Triglav

Un secolo e mezzo fa approdava su questi lidi Rudolf Baumbach, poeta tedesco alquale è dedicata la mostra “Enzian - Una storia alpina europea”, che si inaugura oggi alle 13.30 nel palazzo del Consiglio regionale (orario di visita 9.30-12.30 e 15-17.30 nei giorni feriali). A organizzarla, il Cai regionale, le due sezioni triestine, XXX Ottobre e Sag, e la Spdt, omologa associazione slovena A riunire soggetti anni fa fieramente rivali, la riscoperta del primo sodalizio alpinistico costituito in queste terre, l’Alpenverein Sektion Kustenland, di cui Baumbach fu fondatore e animatore instancabile.
Arrivato a Trieste a vivere una bohéme per certi versi simile a quella di Joyce, vi rimase tre lustri fino a quando, nel 1885, fu richiamato in patria dal duca Georg II di Turingia, che gli affidò la Biblioteca di Meiningen, dove oggi esiste un museo da cui proviene buona parte del materiale esposto.
A Trieste il poeta tedesco trascorse il suo periodo più felice e artisticamente fecondo, cantando la natura del Carso, e delle Alpi Giulie, ma anche il “nobile Terran” e il Prosecco, “vino eletto che viene dal mare e va bevuto con riguardo”.
Botanico e verseggiatore per vocazione, aio per necessità, frequentò alcune tra le più importanti famiglie triestine, gli Engelmann, gli Afenduli, i Morpurgo, i von Petke e i Kugy, contribuendo alla formazione dell’adolescente Julius.
«Credo davvero di potermi considerare in senso lato un alunno di Baumbach. Basti pensare all’importanza che dovette avere per il mio giovane cuore lo Zlatorog, dove fin dall’inizio il venerando duomo del Tricorno sorge come un immenso altare di ogni pia nostalgia e devozione montana», scriverà Julius Kugy, dedicando al suo mentore lunghi passi di Aus vergangener Zeit (“Dal tempo passato” prima edizione italiana, Libreria Adamo, Gorizia 1982).
Le liriche di Baumbach, di ispirazione romantica e popolare, sono diffusissime nell’area tedesca e molti compositori le hanno musicate (tra gli altri anche Max Reger e il “triestino” Ferruccio Busoni). Celebre è “Hoch Aus dem Gelben wagen” (nel 1974 cantata in diretta tv da Walter Scheel, quarto presidente della Repubblica federale tedesca) e l’altrettanto nota “Lindenwirtin” (un bozzetto sotto il tiglio tuttora esistente a Basovizza, presso la chiesa). L’opera che gli ha dato maggior fama è stata però “Zlatorog – Eine Alpensage”, un poema polimetro che si ispira alle leggende del Triglav, intrecciandole con splendide descrizioni naturalistiche e una tragica storia d’amore. Arrivato in poco tempo a 110 mila copie, ispirò drammi, cantate, balletti, marce, e ben cinque opere liriche, tra cui una del triestino Viktor Parma.
Al centro della mostra “Enzian – Una storia alpina europea” c’è però l’originale operazione di crowdfunding attuata per realizzare la Schneeberghütte sul Nevoso-Snežnik, il primo rifugio dell’Alpe Adria. Baumbach compilò un settimanale umoristico in copia unica, intitolato “Enzian”, con allusione allo spirito della montagna ma anche quello alcoolico. Custodito alla birreria Dreher, sede della vita sociale, era consultabile dietro versamento di pochi kreuzer.
Il progetto, varato nel novembre 1873, giunse a compimento nel luglio 1874. Nell’inverno peraltro il tetto collassò, colpa delle abbondanti nevicate, del legno non stagionato, dell’onestà del costruttore (come scrisse “Enzian”), ma forse anche delle sole sei settimane concessegli. E la raccolta fondi ricominciò.
Baumbach fu un assiduo frequentatore delle Giulie e tentò almeno tre volte quel Triglav che aveva cantato nel suo poema, venendone però sempre respinto. A Tarvisio, sembra, si fosse invaghito di Kathy Gelbfuss, figlia del gestore dell’omonima locanda. Nel 1885 il poeta lasciò “la scintillante città al mare” (dove sarebbe ritornato spesso) e i consoci dell’Alpenverein vollero dedicargli un rifugio in Val Trenta. La Baumbachhutte rimasta in esercizio sino agli anni ’70, è stata poi dismessa per la quota troppo bassa.
La mostra vuole essere un punto di partenza per riscoprire il non modesto patrimonio culturale di un personaggio lasciato cadere nell’oblio. —
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