Salvarsi la vita con un angelo caduto

Ci si può innamorare di un libro leggendo a caso una frase. Non l’incipit, ma un passaggio che arriva ben più in là. Quando ancora la storia stenta a decollare. E ci si chiede se vale la pena andare fino in fondo, o se è meglio salutare la compagnia e cercarsi un altro romanzo.
Quella frase arriva a pagina 19 di “Io e Mabel”, scritto da una poetessa e naturalista che fa la ricercatrice a Cambridge, Helen MacDonald. E tradotto da Anna Rusconi per Einaudi (pagg. 292, euro 19,50). Dice: «Bella come una scogliera di granito o una nube temporalesca».
Non parla di una donna, ma di un personaggio fuori dal comune. Una femmina di astore. Uno dei rapaci più affascinanti e sanguinari con cui il regno animale ci possa mettere in comunicazione.
Da lì, da quella frase, parte un viaggio alla scoperta di una storia straordinaria. Di un libro straordinario. Pewrché Helen MacDonald racconta come si possa entrare nel mondo di rapaci temuti da tutti, che i grandi falconieri definiscono pericolosi e ingestibili, e mandare gambe all’aria tutti i luoghi comuni. Per scoprire che sotto quell’ammasso di penne, dietro quegli occhi spiritati, si nasconde un angelo caduto. Una divinità alata, che sembra uscita dalle pagine miniate di qualche bestiario tenuto gelosamente nascosto.
La storia di Helen MacDonald comincia quando una telefonata le annuncia la morte del padre. Celebre fortoreporter, non ha avuto nemmeno il tempo di dirle addio: un infarto ha messo fine al suo percorso terrestre senza preavviso. Scoprendo in quel momento di non avere altri legami affettivi forti, e di essere pure precaria sul lavoro, la scrittrice rischia di sprofondare verso il baratro della depressione. Sarà un sogno premonitore a metterla sulle tracce di quei rapaci che nessuno vuole avvicinare: gli astori. Quando incontrerà Mabel, capirà che il suo incontro con la dea alata non è avvenuto per caso.
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