Scrittori dei Balcani e oltre

Una panoramica sulla letteratura dei Balcani viene offerta da Diego Zandel, scrittore e saggista di origine fiumana, che per il suo passato di esule, di famiglia mista, ha una spiccata sensibilità, anche linguistica, per affrontare gli scrittori degli stati che vanno dall’Adriatico al Mar Nero, in gran parte sconosciuti al pubblico italiano. E scalfire così il disinteresse che il nostro Paese mostra nei confronti l’Europa orientale.
In “Balcanica-Viaggio nel sud-est europeo attraverso la letteratura contemporanea” (edizioni Novecento Libri, 250 pagine, 16,50 euro) Zandel ci aggiorna su quanto è stato scritto di recente nei Paesi della ex Jugoslavia e in Bulgaria, Romania, Albania, Grecia, Cipro, Turchia e Ungheria, con qualche incursione anche più indietro nel tempo. L’autore avverte che il libro “non vuole (né può) essere una summa di tutte le varie letterature dei Balcani”, ma tocca solo testi e autori dei quali si è occupato personalmente con recensioni e interviste.
Ciò che incombe comunque su tutti, esclusi i turchi, è il passato comunista, visto con ironica nostalgia dallo sloveno Miha Mazzini, con tormento dal suo connazionale Drago Jančar, che «sottrae l’epica alla lotta partigiana di Tito», con profonda tristezza dalla rumena Gabriela Adamesteanu, o attingendo alla travagliata storia famigliare dall’albanese Vera Bekteshi. Passato che condiziona l’iconoclasta Florjan Lipuš, sloveno d’Austria, che si occupa di identità minoritarie, come il nostro Boris Pahor, conosciuto nel Paese di cui è cittadino alla soglia di novant’anni. Ma oltre al passato comunista in questi scrittori ex jugoslavi, bulgari, rumeni, macedoni e albanesi si avverte la profonda delusione per le nuove classi dirigenti, subentrate alle vecchie nomenclature, classi corrotte e fascistoidi che li hanno costretti all’esilio, come i croati Predrag Matvejević, al quale il libro è dedicato, Slavenka Drakulić e Dubravka Ugrešić, o i bosniaci Ismet Prcić e Velibor Čolić, straziati dalla guerra, che oggi scrivono in inglese e in francese. Perché c’è pure il fenomeno, che Zandel evidenzia, di scrittori balcanici cha hanno lasciato il loro idioma per quello del Paese che li ha accolti. Più vario l’atteggiamento sul passato comunista degli scrittori serbi, ben analizzati da Zandel.
Passato comunista che tocca anche la Grecia, dove si combattè una sanguinosa guerra civile alla fine del secondo conflitto mondiale che ritorna nei romanzi di Petros Markaris incarnata dall’ex partigiano comunista Zissis. E restiamo in Grecia per ricordare come la crisi attuale e l’orribile trattamento subito da Atene ad opera della trojka (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione europea) abbiano ispirato numerosi gialli di Markaris, che peraltro ha cominciato a occuparsi di questo genere a 58 anni, dopo aver scritto per il cinema e il teatro. Se Markaris è ben conosciuto nel nostro Paese perché tradotto da un editore del calibro di Bompiani, vale la pena di scoprire gli altri Autori segnalati da Zandel che, anche per motivi famigliari, conosce molto bene la realtà greca, come Yiannis Makridakis il primo a parlare della crisi con “C’ero anch’io”. Illuminante poi l’intervista a Maurizio De Rosa, traduttore e consulente che vive ad Atene.
Un altro Paese balcanico la cui letteratura è conosciuta in Italia per antichi rapporti è l’Ungheria. Qui c’entra la mediazione culturale esercitata da Fiume, che, prima del 1918, era il porto dell’Ungheria, Zandel lo ricorda, riandando ad autori come Mihály Babits, Dezsö Kosztolányi, Aròn Tamási e il più noto Ferenc Molnár (i “Ragazzi della via Pal”) conosciuti negli anni tra le due guerre, grazie a eccellenti traduttori fiumani. Una conoscenza che continua fino ai nostri anni con scrittori come Sándor Márai, Magda Szabò, Peter Esterházy.
Qualche opera della letteratura turca la conosciamo grazie a Orhan Pamuk, premio Nobel 2006, ma Zandel indica scrittori come Orhan Kamal che tratta dello “scambio”, un evento epocale degli Anni Venti quando Grecia e Turchia, per semplificare la situazione etnica, si “scambiarono” le rispettive minoranze. Furono coinvolti due milioni di persone e fu il primo grade esodo del Novecento.
È impossibile elencare tutti gli autori trattati da Zandel in un articolo, ma voglio concludere sottolineando che, se non ci fossero state piccole e coraggiose case editrici (come la purtroppo defunta Zandonai), non avremmo conosciuto questi autori, quindi un plauso a Novecento Libri per questa pubblicazione, con la preghiera di fare più attenzione alla cura editoriale, perché refusi e altre carenze mortificano la lettura.
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