Se donna non significa mamma
La maternità - presente o assente, cercata o negata - ci definisce come donne? Quanta parte di questo desiderio è istinto cellulare e quanta è instillata dalla società? Di chi sono gli impulsi a cui si presta ascolto? Leni Zumas, giovane autrice americana, sceglie la via del romanzo - “Orologi rossi”, pagg. 384, Bompiani, euro 18,00 - per parlare di un tema scottante dando voce a quattro donne di Newville, villaggio di pescatori dell’Oregon, in un futuro vicino in cui negli Stati Uniti l’aborto è proibito, l’inseminazione in vitro è vietata, l’adozione per i single sta per essere abolita, la legge garantisce pieni diritti all’embrione e un “Muro rosa” fatto di controlli e poliziotti blocca l’accesso al Canada, dove invece abortire si può, e dove ragazze e donne fuggono di nascosto in cerca di soluzione per le gravidanze non volute.
Roberta, 42enne insegnante di storia in una scuola superiore, è il filo “rosso” della storia. È single e sta cercando di avere un figlio affidandosi a una clinica della fertilità mentre compila la biografia di Eivør Mínervudottír, esploratrice polare del diciannovesimo secolo, sola e determinata a essere se stessa in un mondo ostile. Sottopone se stessa a ogni sorta di “invasione” pur di avere un figlio. Non comprende un briciolo di quello che le viene fatto, basta centrare l’obiettivo. Un figlio. Avverte il suo corpo, che coincide con il suo utero, come un guscio ingrigito. “Datemi la possibilità di ripetermi, datemi una vita vissuta di nuovo, datemi una me stessa di cui prendermi cura”. Un orologio cui sta per scoccare l’ora del “sei troppo vecchia, stai facendo qualcosa di innaturale, zitellona triste ed egoista. Ama la tua vita così com’è”.
Susan invece, l’amica invidiata, è madre frustrata di due figli perfetti, intrappolata in un matrimonio che sta cadendo a pezzi, che non riesce ad ammettere che la simbiosi con i suoi “spiritelli” 24 ore al giorno le è insopportabile. A volte, sogna di togliere le mani dal volante e inabissarsi dalla falesia giù, nell’Oceano. La sua vita è fatta di gesti ripetitivi alla nausea: supermercato (riempi le buste-svuota le buste), cucina (fai da mangiare-dai da mangiare-lava i piatti-raccogli le briciole), bucato (infila i vestiti-togli i vestiti-impila i vestiti. E poi stira), scuola (servizio taxi all’andata-servizio taxi al ritorno), pulizie (passa lo straccio-spruzza il detergente) mentre i bimbi ruzzolano, sbriciolano, sbrodolano, cianciano, si picchiano. Sono suoi, ma non può entrare dentro di loro; e loro non possono tornare dentro di lei. Ha un marito che ogni sera le fa presente come “qui dentro pare di essere in una stazione degli autobus, qualcuno deve iniziare a fare un po’ di pulizia”. Chissà chi, poi. Il suo orologio sta per segnare l’ora della consapevolezza, i suoi studi in legge possono coincidere con gli affetti. Basta un marito “vero”. O forse un altro marito.
Mattie è una delle allieve più brillanti di Roberta: è brava a scuola, sogna di iscriversi all’Accademia di matematica dell’Oregon per poi studiare le balene in qualche Dipartimento di biologia marina. “Ti prego, fa’ che sia sporco di sangue”. Qui l’orologio è un fiotto rosso. Le scuse con genitori (adottivi) sono sempre quelle, “ho mangiato un burrito cattivo a scuola e ho rimesso, no, non ho problemi con l’alimentazione”. Con l’alimentazione no, ma con una pancia che tiene ostinatamente nascosta sotto maxi pullover, sì. Quando scopre di essere incinta non sa a chi chiedere aiuto. Non intende farlo crescere, il suo “specchio”. Chiederà aiuto a Roberta. “Dallo a me, lo stavo aspettando”, urla dentro di sé la “prof”. “Non voglio mettere al mondo qualcuno su cui mi farò domande per tutta la vita”, risponde Matilda. Capitolo chiuso.
Infine c’è Gin, spirito della foresta, erborista e guaritrice, che vive in una capanna assieme una gallina zoppa e due capre. Questa donna alta, pallida, occhi verdi e una veste nera appuntata con spilli attorno al collo, che guarisce tutto con unguenti a base di erbe e che non chiede un soldo, in qualche modo riunisce i destini di tutte quando viene arrestata e processata per le sue pratiche, anche abortive, vittima dell’ennesima caccia alle streghe. Il suo orologio segna il tempo della verità, destinata prima o poi a venire a galla.
Il romanzo di Leni Zumas - scrittura accattivante e rapida, pochi aggettivi e pochi personaggi, davvero ben tratteggiati - esplora i contorni della femminilità contemporanea impastata di dubbi, fallimenti, ipersensibilità, doveri, aneliti; una storia di trasformazione e speranza, senza pregiudizi o giudizi, in tempi in cui ogni diritto sembra una conquista da rinegoziare.
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