Stefano Ricci: «Disegno dal vivo a Trieste il mio nuovo progetto»

L’artista che vive in Germania e insegna al Dams di Gorizia oggi porta allo Studio Tommaseo il lavoro “Più giù”
Di Corrado Premuda

di CORRADO PREMUDA

Il disegno, per Stefano Ricci, è lasciarsi andare, buttarsi più giù, tuffarsi come per immergersi in un altro spazio dove «c'è quel punto meraviglioso che somiglia al volo». Un salto che non è privo di incognite ma che regala materiale utile alla costruzione di un racconto. "Più giù" è il titolo del nuovo progetto dell'artista, disegnatore e grafico bolognese che vive in Germania e che insegna anche al Dams di Gorizia. Il progetto s’inaugura domani allo Studio Tommaseo, in via del Monte a Triest,e alle 18.30 per concludersi il 23 maggio.

Non si tratta solo di una mostra di disegni, è un'operazione totale che comprende la narrazione, fatta di parole e musica, di alcune pagine scritte da Ricci: domani l'artista sarà protagonista di un'azione teatrale, disegnerà cioè sui libri ad un piccolo tavolino mentre il giovane batterista tunisino Ahmed Ben Nessib lo accompagnerà suonando la batteria non con le bacchette ma con le mani. Il filo conduttore dell'esposizione sono due serie di disegni provenienti da altrettanti libri di cui Ricci è autore anche dei testi: "Mia madre si chiama Loredana" (Quodlibet, 2016) e "Più giù" in uscita in questi giorni pubblicato da Danilo Montanari Editore. La prosa poetica di questi libri viaggia parallelamente alle illustrazioni raccontando un mondo di affetti in cui i personaggi (i genitori, il fratello, il cane ma anche il paesaggio) si muovono leggeri e disinvolti tra l'Italia del passato e la Germania del presente, in una rincorsa fortemente emotiva che è poi la storia privata di Stefano Ricci.

Nell'azione “live” a Trieste lei disegnerà in diretta sulle copie del suo libro.

«Sì, disegno direttamente sul libro che, pur già stampato, non è ancora chiuso - spiega Stefano Ricci -. Ho iniziato disegnando le dediche ed è diventato un laboratorio e un rituale per incontrare le persone. Poi sono passato a fare piccoli esperimenti con suoni e disegnando dal vivo insieme ad amici musicisti, specie in Francia e in Belgio dove i "concert dessiné" con musica live sono molto apprezzati. Questa pratica delle dediche con le persone è anche un patto, ha la bellezza dell'atto che non dura e passa. Su questo si è innestata la magia di legare l'immagine al suono. È diventato un territorio di analisi fantastico».

La mostra e i due libri sono imperniati sul tema della famiglia.

«Il centro di questi lavori è mia madre. Mio zio, scenografo teatrale, durante un bombardamento della seconda guerra mondiale aveva fatto un ritratto a mia madre. Questo ritratto era l'unica immagine appesa a un muro di casa mia, era un pezzo della casa. Nel '91 vado a trovare mia madre che aveva la stessa posizione del disegno e stavolta sono io a ritrarla. Lei mi ha regalato questi due disegni quando mi sono trasferito in Germania. Quando l'anno scorso è venuta a trovarmi, un giorno era nel mio studio con i due ritratti alle spalle, intenta a lavorare. È così che ho cominciato a disegnare e raccontarla. Ho scritto tanto. È una storia di oggi, non è neanche più la famiglia che racconto, siamo noi, le persone, c'è la guerra, c'è un'e-mail di mio fratello...».

Osservare un artista che disegna è ipnotico, è qualcosa che piace agli adulti e ai bambini. È quello che succede nelle sue performance.

«Ho avuto la fortuna di disegnare manifesti e libri per il teatro e la danza contemporanea. Per farlo ho sempre assistito alle prove. Vedendo gli attori al lavoro mi colpisce l'enigma di come loro alimentino l'atto dal vivo con l'energia delle persone che sono testimoni. Disegnando le dediche sui miei libri, anche se mi concentro e penso di essere nel mio studio da solo, mi è chiaro che c'è un'energia ogni volta diversa, perché il luogo è diverso e le persone sono diverse. Con il pubblico intorno il mio disegno è cosa misteriosa e affascinante per me. In questo momento è la cosa che mi pare abbia più senso perché condivido qualcosa con la comunità».

Nel libro dedicato a sua madre lei è autore anche dei testi.

«Ho iniziato a scrivere da poco. "La storia dell'orso" (Quodlibet) è stata la prima prova. Desideravo da tempo scrivere e raccontare. Mi ha preso tempo capire che per scrivere devo farlo ogni giorno, devo allenarmi. Lo faccio prendendo appunti e scrivendo lunghe mail a pochi amici. La scrittura ha bisogno di pazienza, di riscrittura, di correzioni, cose che nel disegno non faccio mai. Quando un disegno è chiuso, è chiuso. Ho potuto rimontare i testi, giocare con i disegni, creare una cerniera tra testo e disegni. "Infanzia berlinese" di Benjamin mi è stato d'esempio e di guida: testi brevi che si aprono e si chiudono e danno vita a un racconto completo».

Il progetto "Più giù" diventerà uno spettacolo per la Triennale di Milano.

«Un anno e mezzo fa, durante un mio live, c'è stata la proposta di fare uno spettacolo teatrale. Così ho iniziato a registrare i testi che stavo scrivendo. Come il suono, anche l'atto del disegnare scompare subito e a me piace l'effimero di questi atti. Il secondo libro "Più giù" contiene disegni fatti durante le prove dello spettacolo teatrale. Nelle prove disegnavo sui fogli bianchi e dopo un po' mi sono trovato con una valigia di fogli che ho sistemato e riordinato».

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