Uomini di servizio oppure toy boy con un Tutor in testa nel mondo di Spizzo

Lo scrittore e poeta triestino esce in libreria con una storia di rapporti di coppia e controllo sociale edito da Gossmann
Gianni Spizzo in libreria con “L’uomo di servizio” (Edizioni Gossman)
Gianni Spizzo in libreria con “L’uomo di servizio” (Edizioni Gossman)

TRIESTE Che cos’è una coppia rodata? Come funzionano quei coniugi che stanno insieme da una vita e nonostante più bassi che alti continuano a durare? L’autore triestino Gianni Spizzo ce lo fa vedere da una ben poco illusoria prospettiva. Va detto che Spizzo ha sempre avuto una scrittura chirurgica, asciutta e lucidissima, dove l’ironia serve a evocare maggiormente dei quadri già grotteschi. Ce l’ha dimostrato con tutti i suoi libri precedenti, dai bellissimi racconti “Passioni della cattività” fino agli ultimi romanzi come “L’amore come crimine lieve”. Il suo occhio aderisce sempre a una dimensione esistenziale, mai fine a se stessa, sempre saldamente ancorata a una vita quale conseguenza dei mutamenti sociali, dei fenomeni che più stanno caratterizzando la nostra epoca, in due parole: scienza e tecnologia. Umanesimo e discipline scientifiche, alla fine sono parenti stretti, intrecciati da tutta una serie di cause e conseguenze.

Nel caso dell’ultimo romanzo, “L’uomo di servizio” (Edizioni Gossmann, pag. 165, euro 15), la poetica non si discosta dalle precedenti, anche se l’incipit può trarci in inganno. Ci troviamo infatti di fronte a un uomo che pare del tutto simile agli altri, ci racconta del legame spezzato con Gloria, la tipica quarantenne perfetta, ancora in forma, ambiziosa e determinata, non si concede perdite di tempo, anche nel chiudere un fidanzamento. Tuttavia nonostante il dolore della separazione, il protagonista ci rivela che la noia aveva avuto il sopravvento su entrambi. Non ci può fare niente, la sua passione può durare un anno e mezzo, due tutt’al più, dopo di che ha bisogno di altro carburante. Non totalmente rassegnato alla perdita dell’amata, non rinuncia a tutta una serie di storie casuali, relazioni e semi relazioni con coetanee o con ventenni, disposte ad adorarlo naturalmente, tutte donne abbastanza evolute da non soffrire per la fine di un’avventura. Ma Gloria rimane lì, nella testa del nostro è sempre in prima fila, anche se sta per sposare un altro uomo. Ed è qui che accade qualcosa, un colpo di scena che detta un altro ritmo al romanzo, da una dimensione lineare e aderente alla realtà, Spizzo ci trascina lentamente in un clima distopico.

Insomma i sei anni che vanno ad occupare la seconda parte del romanzo (siamo oltre il 2020), andranno anche a determinare dei radicali cambiamenti di vita, non solo del protagonista, ma proprio del mondo. Siamo oltre il rimbambimento da smartphone, ora la gente non cammina più a testa in giù ossessionata dal suo display. Nella surrealtà di Spizzo gli individui vanno in giro con il Tutor, una sorta di aureola luminosa che agisce puntuale sulle aree cerebrali delegate alla percezione e all’immaginazione. Insomma sulla testa si ha una specie di Siri pronta a esaudire ogni desiderio realizzabile nella visionarietà e nella pratica, il Tutor è un segretario tuttofare, ti garantisce di esistere.

Il controllo è assoluto, la sicurezza va preservata e la fissazione per il mondo reale è una cosa retrò; se il protagonista ci è ancora affezionato, è perché gli è stato precluso per molto tempo, ma questo si capirà nel corso della trama. Ed è in quel tempo senza necessità né materia che la nostra voce narrante corona (benché senza desiderio) il suo sogno, andrà a vivere con Gloria finalmente, che nel frattempo pare sempre meno vecchia e sempre più ricca.

Le donne ormai hanno raggiunto molto più della parità, gli uomini fanno praticamente i domestici. O i toy boy. Ma lo scandalo non è il gioco di scambi di ruolo. Ciò che in questo clima asettico Spizzo ci comunica, è come due individui da romanzo distopico, che in comune hanno solo una casa e poche chiacchiere durante un pasto, provvisti entrambi di diversi amanti, siano del tutto identici all’infinità di coppie coniugate e reali, vinte dalla noia e dall’abitudine, dove se anche alla fine si sta insieme, non si capisce bene il perché. Così, tramortiti e inerti, per niente pericolosi, addomesticati e metodici. Con buona pace del grande fratello. —


 

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