Strage di Castel d’Azzano, aiuti per le famiglie dei carabinieri uccisi: già trecento donazioni
Dino Ramponi al giudice: «Dormo vicino ai campi in un giaciglio, fuori casa». L’avvocato ha trovato Dino Ramponi «Frastornato ma molto lucido»

«Dormo fuori, in un giaciglio di fortuna, vicino ai campi». Questo è quello che Dino Ramponi ha risposto al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, Carola Musio, alla domanda su quale fosse il suo domicilio.
Il 63enne, ritenuto responsabile insieme al fratello Franco, 65 anni, e alla sorella Maria Luisa, 59 anni, dell’esplosione del casolare di Castel d’Azzano, nel Veronese, con la sua affermazione avrebbe dato non solo una spiegazione del motivo per cui si trovasse fuori dall’abitazione durante lo scoppio, ma avrebbe aperto anche alla possibilità di una specifica linea difensiva.
Dino, ma sembra anche il fratello Franco, da qualche tempo non avrebbero più dormito nel casolare insieme alla sorella, ma fuori, sotto un capannone vicino ai campi e vicino agli animali. Alcuni vicini di casa avevano riferito che i due fratelli accudivano le bestie di notte, per non essere visti. Da chi non è chiaro.
Ma è forse per questo che dormivano fuori casa? Per cuna questione di comodità? Se fosse vero non si sarebbero trovati fuori dall’edificio perché volevano fuggire dopo l’insano gesto, ma si sarebbero trovati nel loro giaciglio come ogni notte, addirittura inconsapevoli di ciò che stava facendo la sorella Maria Luisa. Una linea che potrebbe anche essere adottata dalla difesa dei due fratelli Ramponi, i legali Faio Porta per Dino e Domenico Esposito per Franco.
I due avvocati, così come quello di Maria Luisa, Alessandro Ballottin, stanno in queste ore studiando il fascicolo dal quale sono iniziati ad emergere i primi elementi interessanti sui contorni della tragedia che è costata la vita al carabiniere scelto Davide Bernardello, al brigadiere capo Valerio Daprà e al luogotenente Marco Piffari.
Ad esempio le parole di Dino subito dopo la deflagrazione del casolare. Dino, bloccato dai carabinieri all’esterno dell’edificio avrebbe gridato ai militari: «Avete visto cosa avete fatto? Me l’avete uccisa», riferendosi alla sorella Maria Luisa. E poi, qualche secondo dopo, sempre rivolto verso i carabinieri, avrebbe detto «Ve l’abbiamo fatta pagare».
Nell’ordinanza, redatta dal gip, si parla poi della controversia che i tre fratelli avevano ormai da tempo sulla questione del casolare, pignorato e poi all’asta. Emergono le minacce all’ufficiale giudiziario, frangente in cui i due fratelli Franco e Dino erano «partecipi e attivi a fianco alla sorella Maria Luisa». Da questo il giudice rileva piena condivisione di tutti e tre i fratelli «convinti di essere nel giusto con lucida pervicacia». Si parla anche di premeditazione, di «gesto deliberato e preannunciato».
L’esito finale è la disposizione della custodia cautelare in carcere per gravi indizi di colpevolezza, pericolo di reiterazione del reato e pericolosità sociale.
Al momento inoltre non sembra siano emersi segnali di pentimento da parte dei tre. Mentre Maria Luisa è ancora ricoverata in coma farmacologico e intubata all’ospedale Borgo Trento, i due fratelli hanno incontrato i loro avvocati difensori poco prima dell’interrogatorio di garanzia a in cui si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Poche decine di minuti in cui più che altro i legali hanno spiegato la procedura e quello che sarebbe accaduto. «Ho parlato più io di lui, spiegandogli alcuni aspetti tecnici», dice l’avvocato Porta riferendosi a Dino Ramponi.
«L’ho trovato sicuramente frastornato, come accade alla maggior parte delle persone che entrano in carcere per la prima volta ma anche estremamente lucido, non aveva difficoltà a capire quello che gli stavo spiegando». Dunque niente pianti o scenate di disperazione.
Nel frattempo, a partire dal giorno seguente alla tragedia, quasi 300 persone hanno fatto una donazione destinata alle famiglie dei tre carabinieri tramite il Fondo Assistenza Previdenza e Premi per il Personale dell’Arma dei Carabinieri. Si tratta di una fondazione privata senza scopo di lucro istituita più di 60 anni fa che ha l’unico scopo di aiutare i carabinieri e i loro familiari in condizioni di bisogno o merito.
Si tratta di donazioni che vanno da poche decine di euro a centinaia di euro, che alla fine saranno divise per le tre famiglie dei militari mancati a Castel d’Azzano. Per chi volesse contribuire: “Fondo assistenza prev premi”, Iban: IT04C0100503387000000008202, causale: “donazione in favore dei familiari dei carabinieri deceduti a castel d’Azzano”.
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