La guerra asimmetrica, motore di antisionismo
In linea generale, i sondaggi di opinione registrano un atteggiamento in cui il biasimo (di diversa intensità) per la reazione di Israele appare crescente e largamente maggioritario

La Fondazione Cdec di Milano (Centro di documentazione ebraica contemporanea) dunque certifica che a partire dal 7 ottobre scorso, giorno della aggressione di Hamas ad Israele, e conseguentemente, aggiungiamo noi, dopo l’invasione e i bombardamenti sulla striscia di Gaza, gli episodi di antisemitismo registrati – sia nella vita “reale” che sui “social” – sono aumentati in maniera esponenziale rispetto al 2022, sfiorando il migliaio di casi. Non sono assolutamente in grado di dire se la cifra sia allarmante – forse considerando la magnitudine dello scontro in Palestina, potrebbe anche non esserlo – ma certo si tratta di un indicatore piuttosto forte di alcuni umori che si stanno sedimentando nell’opinione pubblica.
In termini più generali, i sondaggi di opinione registrano un atteggiamento in cui il biasimo (di diversa intensità) per la reazione di Israele appare crescente e largamente maggioritario. In tutto ciò, la componente di dichiarata ostilità ad Israele – di chi cioè afferma che l’attacco di Hamas è «una legittima reazione alle politiche di Israele nei confronti dei Palestinesi» – non supera il 7% dei rispondenti. Considerando inoltre che la soluzione “due stati” è di gran lunga la più auspicata, verrebbe da concludere che il sentimento “anti-sionista” trovi complessivamente un riscontro piuttosto limitato fra gli italiani.
Di certo cresce il biasimo nei confronti di Israele, cresce indubbiamente l’insofferenza per l’equivalenza fra “contrarietà alle politiche di Israele” e “anti-sionismo” e non è affatto detto che non si faccia strada un sentimento sordo prima di indifferenza, poi di muta ostilità verso lo stato di Israele stesso, vissuto come fonte di instabilità, di sorda conferma solo ed esclusivamente delle proprie ragioni di esistenza, di sprezzante riaffermazione del proprio isolamento.
Sì, posso immaginare che fra non molto la quota di chi pensa che a dispetto di tutto Israele debba ricevere «una lezione» si farà via via più estesa e non faccio fatica a credere che là in mezzo ripartirà in nuove forme, camuffato come tutto ciò che ritorna, ciò che viene definito “anti-semitismo”. Ciò che tuttavia più mi lascia perplesso è la sensazione che Israele contribuisca attivamente a tutto ciò, che paradossalmente ne sia il principale agente e motore. Mi è capitato di scrivere alcuni mesi fa «che l’odierno Governo di Israele e i suoi sostenitori accesi stiano facendo a pezzi l’umanesimo del mondo ebraico e vadano cinicamente ad uccidere i suoi più grandi testimoni e profeti».
Ebbene penso che sia peggio di così, penso che per una sorta di terribile eterogenesi dei fini l’odierno Stato di Israele sia la matrice principale del finora latente anti-sionismo occidentale, per non parlare dell’antisemitismo che potrebbe derivarne. La più plastica rappresentazione di ciò credo l’abbia offerta l’ambasciatore israeliano quando – in occasione del voto che raccomandava l’entrata a pieno titolo della Palestina all’assemblea dell’Onu – ha fatto a pezzi la Carta delle Nazioni Unite accusando i 143 paesi favorevoli di «aprire le porte ai nazisti moderni».
Un linguaggio forte, certo, ma soprattutto incauto: richiamare il “nazismo” come non fa bene ai sostenitori della Palestina, fa ancora più male ai sostenitori “senza se-e-senza-ma” di Israele. Il linguaggio, del resto, la fa da padrone anche nel connotare il riduzionismo di entrambe le parti: se infatti gli estremisti anti-israeliani di casa nostra possono de-rubricare a «legittima reazione» l’attacco di Hamas, gli estremisti israeliani possono con la stessa disinvoltura condannare l’uccisione di «507 palestinesi, fra i quali almeno 81 minorenni» (Amnesty International) nel 2023 in Cisgiordania usando un comodo eufemismo, parlando cioè in termini di «gravi prepotenze e violenze».
Nonostante l’opacità delle fonti - a detta del Governo israeliano e dei suoi sostenitori – in questa guerra asimmetrica a fare giustizia sono i morti con una proporzione di 1 a 35, o meglio 35 palestinesi uccisi per ogni israeliano, fino ad oggi. E se non sono 1 a 35, sono 1 a 20. Decisamente “asimmetrica” questa guerra, soprattutto nel valore delle vite. È da questa asimmetria che nasce la convinzione che davvero Iddio acceca chi vuol perdere.
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