La vera leader che l’Europa non ha voluto

Mentre la notte calava su Strasburgo, in molti si sono chiesti perché Roberta Métsola non sia stata chiamata a guidare la Commissione europea. I numeri rivelano che il nome della maltese rieletta presidente dell’Europarlamento avrebbe risolto le incognite che ancora ammantano d’incertezza il percorso di Ursula von der Leyen verso il vertice dell’esecutivo Ue, anche se – a ben vedere – la differenza fra le due è minima: cristiano democratiche, combattenti determinate, appassionate del processo d’integrazione comunitaria, sensibili ai divari sociali, attente a diritti e dimensione umana del dramma migratorio, ferme nell’opporsi all’aggressore Putin e, non ultimo, madri felici di appartenere a famiglie numerose. Dietro c’è altro, ovviamente.
Ci sono i debordanti egoismi nazionali e nazionalisti, il male dell’Europa che da qualche parte deve pur sbocciare, le logiche che si nutrono di ragioni interne più che globali, le visioni patriottiche che minano l’interesse collettivo. Le famiglie dei partiti che hanno riguadagnato la maggioranza dell’assemblea a 12 stelle il 9 giugno ne hanno fatto una questione di principio, si sono incardinate alla molle regola del candidato di punta e, al summit di fine giugno, hanno gridato «Ursula o niente». Questione d’onore che ha complicato tutto.
Sul fronte dell’opposizione, dove si ripete di aver vinto le elezioni e non è vero, chi vive dell’essere “contro” è andato a cercare il nemico di cui ha bisogno, pretesto per fare la voce grossa, qualcuno a cui dare la colpa delle inefficienze, soprattutto delle proprie. I sovranisti (la Lega con loro) hanno pertanto scelto di far guerra alla tedesca, persuasi che difficilmente l’elettorato chiederà loro come mai Ursula non va bene («non la voteremo mai») e Roberta invece sì (è «attenta e sensibile»). È la politicaccia moderna, ragazzi. E il mondo va di conseguenza.
L’entusiasmo che incorona l’isolana Métsola segna un record di consenso difficile da battere. Può darsi che ci si sia messo anche un effetto Trump, ma i 562 “sì” incarnano l’evidente esigenza di stabilità.
«La polarizzazione nella società ha portato a una politica di scontro e anche a violenza politica», concede Roberta Tedesco Triccas in Métsola (il cognome di Ukko, il marito finlandese), avvocatessa 45enne di St. Julian’s. È la leader europea più in forma, la più consapevole. Sa ascoltare e decidere. È una conservatrice illuminata, elastica nelle dispute (si veda la flessibilità sull’aborto che a Malta è tabù), partecipativa nel difendere ogni diritto. Può essere tosta, come quando attacca Putin; o empatica, come quando affronta il dramma delle donne violate e ricorda Giulia Cecchettin. Il capolavoro è l’attimo in cui cita De Gasperi, in italiano, e avverte che «la tendenza all’essere uniti è una delle costanti della Storia». E ancora quando, da cattolica, usa le parole del rabbino britannico Jonathan Sacks per assicurare che «una politica della speranza è a portata di mano» e predicare «un’economia del bene comune».
Questa è l’Europa che ci vuole. Inclusiva e aperta. Forte e attenta. Qualcuno dirà che è furbizia, ma le parole sono importanti e la lezione di Métsola vale per tutti. Per von der Leyen, se sarà eletta come pare, per chi l’ha proposta e per chi la osteggia, gente che spesso dimentica il vero valore da difendere: il massimo beneficio per i cittadini. È questa la missione da perseguire a ogni costo, anche quello di non essere rieletti. La buona politica non insegue, bensì indica la strada.
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