L’inutile trucco dei test ai magistrati

Si sta parlando di un test da sottoporre ai magistrati per misurarne l’equilibrio psicologico. Una batteria di domande da sottoporre a chi inizia questa delicata carriera. Un test che chiede di rispondere “vero o falso?” e che ne trae conseguenze numeriche: una cosiddetta “psicometria”, non molto diversa da quella già in uso con i carabinieri, con la polizia, con i finanzieri.
Di chi pare strano e un poco fuori di testa diciamo che è qualcuno che “dà i numeri”. E se girassimo questo comune modo di dire attribuendolo proprio a coloro che attraverso un test, che viene anche definito “numerologico”, pretendono di stabilire l’esistenza e l’intensità di un disturbo psicologico?
Povera psicologia e povera psichiatria, se la riduciamo a una simile numerazione! Povero pensiero critico e povero Basaglia se, dopo tutto ciò che è accaduto in questi anni, ci restasse solo la possibilità di produrre qualche numero, appunto di essere noi stessi a “dare i numeri”!
È passato quasi un secolo da quando è stato introdotto, negli Stati Uniti, il cosiddetto “Minnesota test”, l’antenato di ciò che adesso si vorrebbe rilanciare per capire se un giudice è in grado di fare il giudice. Osservo, di passaggio, che il “Minnesota test” non è mai morto, anzi è ancora pienamente vivo e chiunque può andarselo facilmente a leggere con il proprio smartphone.
Troverà una sequenza di 567 domande, “apparentemente” banali: scrivo “apparentemente” con un poco di ironia, perché non è davvero semplice percepire quella scientificità che vorrebbero rappresentare. Andate a leggerle per averne un’idea: mi limito a citare solo la prima, là dove si chiede all’inquisito se ogni mattina, al risveglio, avverte appetito oppure no. È l’idea stessa di test che non sta in piedi perché non sembra fornire alcuna garanzia di qualcosa di significativo rispetto a un soggetto che dà le sue risposte attraverso le sequenze dei sì e dei no. Il calcolo e la combinazione di questi sì e no hanno a che fare in qualche modo con una descrizione “scientifica” di quel soggetto, o solo con una garanzia “tecnica” del procedimento con il quale si suppone di analizzarlo?
Purtroppo, a simili tecniche di osservazione del comportamento individuale si continua ad affidare un titolo di verità. Si continua? Nessuna inerzia caratterizza tale pratica psicologica: essa si è arricchita, si è espansa, e oggi risulta la pratica dominante. Qualcuno ci mette a volte un tratto di intelligenza, tuttavia dobbiamo sapere che, quando ci rivolgiamo allo psicologo, ci affidiamo a forme di “sapere” che assomigliano a involucri vuoti e asettici, a tecniche che risultano quasi sempre fredde e distaccate più che pratiche che mettano in gioco la nostra soggettività prendendosene cura.
A cominciare proprio dalla loro credibilità scientifica e dalle loro capacità tecniche. Tutto, in un simile orizzonte psicologico che vorrebbe apparire “scientifico”, avviene un po’ a spanna. Ma, anche solo come “tecnica”, procede a tentoni. Siamo, oggi, in un mondo in cui un drone dotato di intelligenza artificiale può arrivare con precisione sull’obiettivo e distruggerlo. Altro che psicologia scientifica (per fortuna, così velleitaria, si potrebbe anche commentare!).
Questi test, che stiamo rispolverando, con il loro calcolo dei sì e dei no, con la distanza che impongono agli intervistati, hanno l’aria di un trucco: qualcosa che fa gioco introdurre, ma che non produrrebbe alcun effetto tranne il dar mostra di sé, un mettere a posto la propria coscienza di inquisitore. Ecco il test per i magistrati, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare, adesso siamo tranquilli. Risultato: avremmo definito la “struttura personologica” dell’individuo.
Conclusione? Da una parte una millantata psicologia alla quale – appunto – è quasi impensabile credere: d’altronde non è per questo che viene esercitata, dato che è un atto quasi vuoto (che comunque resta un atto di potere). Dall’altra parte abbiamo un messaggio pesante rivolto a quel mondo “psi” che dovrebbe agire come una cultura critica dotata di rilevanza per il nostro tormentato e indifeso presente. La pseudocultura degli psicotest, che si vorrebbe rafforzare, non solo è miseramente povera di risultati e quasi sempre si riduce a un gesto di affermazione autoritaria, ma può avere (e indubbiamente già possiede) un effetto distruttivo nei confronti della psicoanalisi e della psichiatria critica: ne affossa la rilevanza, cioè la capacità di aiutarci a capire chi siamo, e soprattutto che non possiamo essere ridotti a dei numeri. Ogni giorno sospinge la cultura critica in una zona d’ombra e di irrilevanza, mentre dovremmo lottare (sì, “lottare”) perché un simile adombramento non prenda il sopravvento. È ovvio che dovremmo tutti valorizzare la nostra psiche, culturalmente e politicamente, cercando di sottrarci alle trappole della numerologia.
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