Regionali, il campo largo è in salita
L’arca di Noè che traghetta da Renzi a Fratoianni, passando per Schlein e Conte, non sembra posizionarsi al meglio nello specchio di regata

Non porta mai bene a una coalizione partire avvantaggiata per una prova elettorale: come nel match race – che va di gran moda grazie a Luna Rossa – la barca che parte qualche metro indietro prima del via, poi spesso sbuca in faccia all’avversario ai nastri di partenza, chiudendo in testa al fotofinish. Dunque, per le tre prove regionali in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria in programma a ottobre e novembre non è detto che partire in testa nei sondaggi garantisca la vittoria in tutti e tre i gironi del centrosinistra.
L’arca di Noè che traghetta il cosiddetto “campo largo” che va da Renzi a Fratoianni, passando per Schlein e Conte, non sembra posizionarsi al meglio nello specchio di regata, tanto per proseguire con il linguaggio velico. Sembra dirigersi dove c’è poca aria, dove è difficile raccogliere vento nelle vele. I timonieri vanno ognuno per conto proprio chiamando virate opposte l’uno dall’altra, la ciurma non sa chi seguire e anche nei Palazzi del potere, ovvero nelle tribune, i militanti non sanno che pesci prendere.
Strano andamento, tutto sbilenco dunque, delle prime puntate della serie Regionali 2024: uno si aspetta che non essendo al governo e avendo meno gatte da pelare, le opposizioni si mettano in marcia unite per andare alla conquista dei territori. E invece, sorpresa: la campagna per le regionali parte con una maggioranza di destra che (a dispetto dei contrasti sulla finanziaria e dei tanti nodi da sciogliere), marcia compatta come una falange sul campo di battaglia, anche se i generali dietro le trincee parlano male l’uno dell’altro. E con invece un’armata disunita e male equipaggiata del centrosinistra che si divide a ogni tornante, presentandosi già debole prima dello scontro alle urne.
Tanto per dire: i tre leader Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, hanno dato prova di restare uniti a prescindere. A costo di uno scontro istituzionale con la magistratura, la premier ha difeso Salvini dai giudici su Open Arms; il quale Salvini ha dovuto farsi piacere obtorto collo l’intesa di Meloni con Ursula von der Leyen sulla vicepresidenza a Fitto, pur dovendo digerire l’isolamento in Europa che ne conseguirà per lui; Tajani ha fatto votare tutta Forza Italia contro la mozione sullo Ius scholae, anche se propugna i diritti come nuova bandiera, «perché quella era una provocazione». E in Liguria hanno tirato fuori dal cilindro la candidatura del sindaco di Genova, Marco Bucci, punto di riferimento dello stesso sistema di potere che fu di Giovanni Toti, tanto da mettere in forse la vittoria in discesa di Andrea Orlando. Per non dire dell’Umbria, dove l’alleanza col sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, scombussola i pronostici fatti fin qui.
Ma è l’aria di una compagine sfarinata e litigiosa che rende il “campo largo” di Schlein meno competitivo alla vigilia. I sondaggi mostrano non solo il vantaggio sulla carta nelle tre regioni, ma anche come all’elettorato dei partiti satelliti del Pd non garbi stare in alleanza con i terzi incomodi, siano essi Matteo Renzi o Giuseppe Conte o Carlo Calenda; insomma, un astio e una diffidenza reciproca dei vari mondi della sinistra. Da cui discendono vari fattori: saliranno sui palchi insieme a Genova, Bologna e Perugia tutti i leader del centrosinistra o dovranno presentarsi uno alla volta per non prendere fischi?
L’altro giorno Elly Schlein è andata a Genova a sostenere il candidato governatore Andrea Orlando, ma ci andrà pure insieme a Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e agli altri? Renzi a Genova non potrebbe salire sul palco con loro, poiché il leader dei 5 stelle non lo vuole vedere, tanto da aver imposto che non presenti la lista di Italia Viva a sostegno di Orlando. Con il risultato che i renziani devono nascondersi dentro un listone dei riformisti senza simboli, da cui mancherà peraltro Carlo Calenda: che si è tirato fuori dai giochi senza certo portare vantaggi a Schlein e compagni, visto che in Liguria i suoi candidati di Azione ancora attirano qualche consenso.
Senza contare il tema dei temi, ovvero guerra e pace: «C’è chi dice, e mi riferisco a Schlein, che bisogna essere ostinatamente unitari, io le dico che noi siamo ostinatamente pacifisti», è l’ultima provocazione di Conte dopo il voto a Strasburgo sulle armi all’Ucraina. Lanciata dalla marcia per la pace, senza avere a fianco la sua potenziale alleata.
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