Book Week Gorizia, Ervas porta il tatuatore innamorato
L’autore trevigiano: «Abbandono l’ispettore Stucky, la prossima eroina sarà una poliziotta di stanza a Mestre»

Mancano ormai pochi giorni alla Book Week, evento organizzato dal gruppo Nord Est Multimedia (che edita anche questo giornale) con il sostegno del Comune di Gorizia.
Da venerdì 4 a domenica 6 luglio nella città isontina, in piazza Sant’Antonio e al Grand Hotel Entourage, saranno ventuno gli autori chiamati a presentare i propri libri in un viaggio tra generi differenti per attrarre il pubblico più ampio.
Qualche esempio? Donato Carrisi, Dario Fabbri, Enrico Galiano, Gio Evan, Gino Castaldo, Massimiliano Simari, Giulia Musini, Damiano Giordano, Manuela Nicolosi, Rick DuFer. E ad aprire la rassegna, venerdì, alle 17.30, in piazza Sant’Antonio sarà Fulvio Ervas con “Il tatuatore innamorato” (Marcos y Marcos, pagg.288, euro 19).
Qual è il suo rapporto con Gorizia?
«Ho fatto la naja vicino a Gradisca d’Isonzo, poi nove mesi all’ospedale militare a Trieste, un’esperienza incredibile: erano gli anni d’oro della gente strana; mi occupavo delle relazioni dei medici: potrei scriverne romanzi. Con i commilitoni, uscivamo e frequentavamo tutto il territorio. In seguito, a Gorizia ho presentato più volte i miei lavori al “Libro delle 18.03”. In città torno sempre più volentieri. E ritengo i triestini un po’ meno noiosi dei trevigiani: le cose occorre dirle».
Quanto è cambiata Gorizia?
«Mi sembrava un po’ ingessata, paralizzata, sospesa in attesa di qualcosa. Ora, invece, Gorizia è differente. E trovo geniale la collaborazione odierna con Nova Gorica».
Può presentare “Il tatuatore innamorato”.
«È il mio saluto all’ispettore Stucky. Da settembre cambio casa editrice e passo a Marsilio: racconterò Venezia, Marghera, grazie a una poliziotta che lavora alla questura di Mestre, la mitica Ca’ Rossa».
Per quali ragioni abbandona Stucky?
«Mi ha fatto compagnia per diciotto anni e a lui sono affezionato, ma certi personaggi bisogna lasciarli andare, specie quando diventano fisici e l’ispettore è ormai diventato Battiston. Si è trasformato in un corpo e il corpo è quello del popolare attore. Ho allora sentito il bisogno di congedarmi amorevolmente da lui, in quello che, assieme a “Finché c’è prosecco c’è speranza”, è lo Stucky più bello. Sì, credo che sia una storia molto interessante. Come sempre, si tratta di una recitazione di personaggi, di una narrazione teatralizzata. Più che gialli, io scrivo commedie. Mi piacciono la tensione, l’horror, il colpo di scena, ma nel mio caso hanno un ruolo tutto sommato secondario».
Perché, questa volta, parlare di un tatuatore?
«Perché, attraverso una storia di amore, racconto uno degli organi, una delle strutture più importanti del corpo umano: la pelle, la più grande superficie di relazioni con gli altri. Ecco, parlo di come la pelle può essere arredata. Perché il tatuaggio, assieme ai vestiti, è anche uno dei modi di arredarci. E da biologo tratto di come, sul nostro corpo, possiamo scrivere storie».
Lei ha tatuaggi?
«No e ho fatto fatica a entrare nel mondo dei tatuatori, ma ne ho conosciuta una di Torino e un’altra di Conegliano che mi hanno dato preziose dritte. Poi, ho letto molto sull’argomento. Soprattutto, a colpirmi era un’idea romantica, suggestiva: che il tatuaggio è un’arte che muore con noi, è un’arte a tempo. Questo è un concetto che mi piace molto. Non è un affresco, che è eterno».
Può anticipare ancora qualcosa riguardo al suo prossimo libro?
«Il titolo sarà “L’insalvabile”, con riferimento a Venezia, alle sue contraddizioni. La protagonista sarà la commissaria Luana Bertelli, ispirata a una poliziotta vera. Se Stucky ha fra i tratti principali l’ironia, lei è più tosta, più d’azione. Ha origini polesane e si muove in una città complicata. È da un anno e mezzo che sto lavorando a questo nuovo testo».
Perché ritiene Venezia insalvabile?
«Perché è lenta in una società veloce, ha dovuto fare un ponte per collegarsi al mondo, ha dovuto spostare le sue aziende in terraferma: è rimasta un guscio spettacolare che sopravvive non per le grandi attività imprenditoriali, industriali, ma per il turismo che, d’altra parte, la uccide. Venezia è l’unica grande città turistica che così velocemente si svuota. In ogni caso, io la amo e, se potessi, la sposerei».
Sarà l’inizio di una serie?
«Spero di sì, anche se poi deciderà la casa editrice. Ho insegnato per quasi tre decenni a Mestre, la metà dei miei colleghi era veneziana, come mia madre: parlare di questa terra mi piace molto». —
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