Lavoro e demografia in Friuli Venezia Giulia: mancheranno 70 mila addetti

Entro il 2033 perderemo 91 mila residenti tra 15 e 64 anni

La svolta con i migranti e la vita lavorativa più lung

Riccardo De Toma

Chiamatela spada di Damocle, chiamatela bomba a orologeria. Al di là della definizione, il problema è di quelli davvero difficili da risolvere. E probabilmente la più grande incognita che grava sul futuro del Friuli Venezia Giulia, costretto a fare i conti con la questione demografica in anticipo rispetto al resto del Paese.

Con un tasso di anziani che viaggia già sopra un dato medio del 26%, e quasi 110 mila ultraottantenni, la nostra regione sa già quanto cresca la pressione sul sistema socio-sanitario. Quello che ancora non viene percepito appieno, nonostante i sintomi siano già manifesti, è l’aggravarsi della carenza di forza lavoro con cui dovranno fare i conti le nostre imprese, la pubblica amministrazione, gli ospedali, le scuole.

79 MILA ATTIVI IN MENO

Se il sistema per il momento tiene, è perché buona parte dei nati negli anni Sessanta è ancora al lavoro. Ma con l’uscita degli ultimi boomers (i nati fino al 1964) e delle prime classi della generazione X, nella forza lavoro inizieranno ad aprirsi voragini sempre più difficili da colmare: per rendersene conto basta prendere in mano lo spettro demografico nel 2023, certificato dai dati Istat e Inps, e traslarlo di 10 anni: nel 2033 la nostra regione avrà ben 91 mila residenti in meno nella fascia d’età statisticamente censita come fascia attiva, quella compresa tra i 15 e i 64 anni. Vero che la riduzione non si trasferirà appieno sulla forza lavoro, dal momento che gli attuali under 35 e soprattutto gli under 25, crescendo d’età, passeranno a classi dove il tasso di occupati e attivi è sensibilmente più alto. Anche tenendo conti di questo, però, la riduzione stimata della forza lavoro è altissima, con un saldo negativo di quasi 79 mila attivi.

L’APPORTO DEGLI IMMIGRATI

In costante crescita da molti anni, grazie all’apporto degli immigrati e al progressivo aumento del tasso di occupazione delle donne, oggi superiore al 61%, il numero di attivi è fatalmente destinato a ridursi, anche se non nei termini appena descritti e ricostruiti nei grafici. La stima di -79 mila attivi, infatti, tiene conto soltanto degli attuali residenti, senza considerare l’apporto delle migrazioni sia dall’estero che dalle altre regioni. Apporto che, dopo la frenata del Covid, ha ripreso a dare un contributo robusto, con un saldo complessivo che nel 2022 ha superato gli 8 mila residenti e che nel 2023 potrebbe aver superato quota 9 mila (manca ancora il dato definitivo).

ALLUNGAMENTO DELLA VITA LAVORATIVA

Altra variabile da considerare, oltre all’immigrazione e alla già citata crescita del lavoro femminile, che ha ancora ampi margini di espansione, il progressivo allungamento della vita lavorativa, spinto da diversi fattori che concorrono tutti nella medesima direzione: l’allungamento della speranza di vita e della vita lavorativa, anche per effetto dei requisiti di età e di anzianità contributiva per l’accesso alla pensione. Specchio di questo fenomeno non soltanto la rapida crescita degli attivi tra gli ultrasessantacinquenni, che oggi in Friuli Venezia Giulia sono più di 17 mila, 6 mila in più rispetto a dieci anni fa e più del doppio rispetto al 2008, quando erano poco più di 8 mila. Se questo fenomeno riguarda ancora un numero tutto sommato modesto di lavoratori, l’innalzamento dell’età pensionabile si fa sentire con numeri ben più significativi tra i lavoratori “maturi”: nella fascia tra i 55 e i 64 anni, infatti, oggi si contano più di 120 mila persone occupate o in cerca di lavoro, pari al 64% dei residenti di quell’età. Dieci anni fa gli attivi nella stessa fascia erano 71 mila, quindi 50 mila in meno, con un tasso di attività del 44 per cento, e nel 2008 erano appena 49 mila, pari al 30 per cento dei residenti. In quindici anni, in sostanza, l’incidenza degli attivi tra gli over 55 è più che raddoppiata.

LE PROFESSIONALITÀ

L’allungamento della carriera lavorativa consentirà quindi alle aziende di ridurre l’entità del problema e di diluirlo nel tempo. Ma la questione non sta soltanto negli effetti delle tendenze demografiche: c’è il tema delle professionalità perdute, del tardivo ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, della perdita di cervelli e di braccia che preferiscono cercare opportunità all’estero, andando a limare il pur positivo saldo migratorio della nostra regione, del rapporto tra imprese e sistema dell’istruzione e della formazione, dell’efficacia delle politiche di accoglienza e di integrazione.

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