A 57 anni è morto Socrates, “o Doutor”

di Bruno Lubis
TRIESTE
Era chiamato o Doutor (era davvero laureato in medicina), ma anche o Magrao (perché lungo 190 centimetri e secco come una bacchetta), Brasileiro Vieira Sampaio Oliveira de Souza detto Socrates si è spento a San Paolo a causa del fegato che troppe birrette ha dovuto filtrare e troppe fatiche ha sopportato per coniugare l’amore per la bella vita e per lo sport.
Era uno dei tre, assieme a Zico e a Eder, che stavano dietro a quel bestione di Serginho centravanti-boa del Brasile 1982. Dietro ai tre – nel calcio non s’inventa nulla anche se oggi le tre mezze punte dietro il centravanti pare siano una novità – facevano gioco due grandi mediani come Toninho Cerezo e Roberto Falcao. Era un gran Brasile con la difesa d’argilla e un portiere che neppure al Jolly hotel avrebbero assunto. Socrates realizzò l’1-1 infilando Zoff sul primo palo. Poi Rossi realizzò ancora fno a eliminare quella Seleçao bella e ingrata.
Lungo come la quaresima, un po’ impacciato se doveva muoversi con agilità, ma sagace nello spostarsi e, per oviare alla lentezza, usava il tacco con naturalezza. I compagni del Corinthians – dove aveva instaurato la famosa “democrazia corinthiana” e nessuno poteva prevaricare le volontà dei più – lo chiamavno o Taco de Deus (il Tacco di Dio), tanto era preciso quel colpo da parere un lancio di collo.
Fumava e beveva anche a Firenze dove giocò in due campionati realizzando 17 reti. Lo credevano punta e invece era un trequartista anomalo, pretendevano che facesse un lavoro da mediano e il preparatore Armando Onesti lo strizzò finché il caboclo brasiliano stramazzò privo di forze e in piena asfissia durante la preparazione precampionato. Lui era un duro e sapeva soffrire, ma non era adatto alla continuità della fatica: si esibiva a sprazzi.
Nato 57 anni fa nel Parà, a Belem, evidenti i tratti dell’indio mescolato con negri e portoghesi, Socrates dipanò la sua carriera a San Paolo. Dopo gli anni d’oro, smise col calcio, giocò solo per diletto e lo ammirammo a Trieste ingrossato per benino, assieme a Rivellino, Pepe e altri giocolieri del passato, nel mundialito over 40. Rivellino inebetì i cultori di calcio del vecchio Grezar con un lancio per Socrates, una traiettoria di almeno 60 metri che atterrò docile sui piedi del lungagnone chiamato solo di fare due passi ma di accarezzare il pallone come solo un brasiliano sa fare. Da allora solo qualche piccolo impegno negli ospeali, tanto lavoro sociale e le solite birrette per accompagnare le chiacchiere con amici e conoscenti. Le birrette, appunto, e qualche cachaça, hanno rovinato il fegato di chi aveva troppo preteso dal suo fisico. Il Dottore aveva bisogno urgente di un trapianto ma non s’è avuto tempo né opportunità di farlo. Probabilmente era inutile, il destino lo aveva già chiamato a sé...
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