Amador è primo in classifica «Ma la vita non è sempre rosa»

INVIATO A CIVIDALE. «Vengo da un Paese piccolo, sì, ma con un cuore grande così». Andrey Amador è la prima maglia rosa che arriva dal Costarica. E laggiù, nel cuore del Centramerica, è già una specie di eroe nazionale per il suo essere corridore professionista, quarto lo scorso anno al termine del Giro. Chissà adesso che ha vestito la Maglia Rosa, chissà adesso che, esibendo orgoglioso la “camiseta” del leader della classifica passa da un’intervista all’altra, e cita i suoi maestri, e racconta anche della Spagna che lo ha adottato per farlo diventare un corridore, e spiega che comunque le gerarchie di squadra, alla Movistar, non cambiano, che Valverde era, è e sarà il capitano. Mentre lui era, è e sarà solo un gregario.
Eccolo qua, Andrey Amador Bikkazakova, 30 anni da compiere ad agosto, figlio di Rodolfo (sangue spagnolo nelle vene, la famiglia della nonna era fuggita dalla Galizia ai tempi della Guerra Civile) e di Raisa Bikkazakova, russa. Un bel cocktail, non c’è che dire.
«Nel mio Paese - racconta - non c’è una grande tradizione nel ciclismo ma sento che anche grazie a me il movimento sta crescendo sempre più, si sta organizzando. Il pubblico però mi ha sempre appoggiato, nella buona come nella cattiva sorte. La vita non è sempre color rosa come oggi, ma in questo momento sono davvero felice». E’, vero, e anche la sua non è stata una vita facile. A scavare, si trova un’aggressione subita nel 2010 le cui conseguenze gli fecero saltare la prima parte della stagione successiva. Stagione successiva nella quale, iscritto al Tour de France, cadde proprio alla prima tappa. «Ma volli arrivare lo stesso fino in fondo, per fare il mio dovere e aiutare la squadra. Fu una grande soddisfazione finire quel Tour. E con la maglia che indosso oggi tutti i sacrifici sono compensati».
Un corridore che viene dal Costarica non può certo essere un grande scalatore. E infatti lui non lo è. Eppure ha conquistato la rosa nella prima tappa ricca di gpm di questo Giro 2016. «E’ vero, non sono quello che voi giornalisti chiamate uno scalatore puro: quando la strada si impenna e il ritmo cambia, io posso reggere una o due volte. Poi però salgo con il mio passo, tanto so che quello che perdo in salita poi posso provare a recuperarlo in discesa, dove mi difendo bene. Come ho fatto anche in questa tappa: tra l’altro avevo anche perso qualcosina dal gruppo che contava, ma Valverde mi ha aiutato “frenandolo” un po’».
Valverde, il suo capitano. Perché anche se adesso veste la “camiseta rosa” Amador resta quello del Tour del 2011, che arriva 166.mo al traguardo finale di Parigi fiero di aver aiutato la squadra. E allora, appena sceso dal palco delle premiazioni di Cividale, spiega: «Ovviamente non abbiamo ancora iniziato a parlare della tattica nel tappone dolomitico che adesso ci aspetta, ma in ogni caso non si discute: il leader è Alejandro Valverde, lui è speciale e poi è un vero fenomeno. Io so da dove vengo e non ho proprio nessun problema a tornare subito al servizio del mio capitano, sarò felice di lavorare per lui. Perché Alejandro sarà il grande mio successore nell’indossare questa maglia».
Già, questo è il ciclismo. Sport nel quale le gerarchie sono quelle e che nessuno si permetta di alzare la cresta. La conferma? La offre Mikel Nieve il basco della Sky che ha vinto la tappa. «Mikel, avresti vinto la tappa se il tuo capitano Landa fosse stato ancora in gara?» gli è stato chiesto in conferenza stampa. «Hombre, claro que no». La sua risposta. E non c’è bisogno di traduzione. Nè di ulteriori spiegazioni. Perché questo è il ciclismo, anche negli anni Duemila. E allora Nieve vince perché il suo capitano si è ritirato e quindi le strategie sono ormai saltate e Amador sa già che a Torino, il 29 maggio non sarà lui il primo in classifica. «Perché - come ha detto ieri - la vita non è sempre color rosa». Anche se...
GuidoBarella
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