Bragagna a Caressa: «Alzare la voce nel nuoto non serve»

Il telecronista Rai smorza i toni ma torna all’attacco: «Anche i giornalisti dovrebbero qualificarsi per i Giochi»
Di Maurizio Di Giangiacomo

La “guerra delle tv” era già scoppiata durante gli Europei, quando il telecronista di Sky Fabio Caressa aveva criticato – con ben più di una ragione e proprio sul nostro giornale – non tanto la qualità delle trasmissioni della Rai, quanto la mancanza di una scuola di telecronisti dopo l’uscita di scena di personaggi storici.

Oltre alle repliche immediate, di pochi giorni fa quella di Franco Bragagna, storico telecronista Rai dell’atletica e dello sci di fondo, 12 Olimpiadi all’attivo. È arrivata quando ha saputo che lo stesso Caressa, ai Giochi, avrebbe seguito il nuoto: «Caressa al nuoto è un insulto all’olimpismo – ha detto il giornalista della Rai a Tvblog.it – Il caressismo non è giornalismo, quando seguo un evento sportivo la voce di un piazzista non m’interessa».

Bragagna, quelle parole contro Caressa sono una vendetta per le critiche che lo stesso telecronista di Sky rivolse alla Rai durante gli Europei di calcio?

«Guardi, un collega di Tvblog.it mi ha chiamato, le assicuro di aver risposto con una pacatezza che evidentemente non traspare da quello che poi è stato pubblicato. Non è una vendetta né un attacco personale, non volevo dare a Caressa del piazzista. Ho detto che il suo modo di fare telecronache è una maniera per vendere abbonamenti, questo sì. Io preferisco che lo sport venga raccontato, senza quell’uso parossistico dei superlativi. Lui dice che vuole dare emozioni, io rispondo che le emozioni le danno gli atleti e noi dobbiamo solo accompagnare il telespettatore che vuole seguire l’avvenimento sportivo».

Ritiene ci sia una superiorità tecnica, giornalistica dei telecronisti che seguono gli sport olimpici, rispetto a quelli del calcio?

«No, ma c’è un approccio diverso. Non accetto che una telecronaca di nuoto, sport secondo solo all’atletica per quanto è complicato, venga affidata a un collega solo perché è famoso. Andrebbe affidata a uno specialista, altrimenti si svilisce la stessa disciplina. Lui ha detto che ha studiato, ma studiare in questo caso non basta, bisogna sostenere un esame di laurea. Come gli atleti, anche noi giornalisti dovremmo qualificarci per le Olimpiadi, non basta essere un volto conosciuto e alzare la voce come fa lui per Juve-Inter o per qualsiasi altra partita di calcio, anche se è noiosa».

Veniamo ai Giochi: cosa l’ha colpita, di questa vigilia olimpica?

«Gli impianti pronti già quattro mesi fa, non era praticamente mai successo. Londra non riuscirà a eguagliare Pechino, a causa della crisi economica internazionale e anche del costo della manodopera, che in Cina era ed è ovviamente inferiore, ma sembra davvero che abbiano fatto le cose per bene, a parte il problema della sicurezza venuto a galla negli ultimi giorni. A Torino 2006 gli ultimi meccanismi furono oliati ancora nel corso della prima settimana, ad Atlanta, l’edizione più scadente tra quelle che ho seguito, gli autisti del pullman sono stati assunti il giorno prima dell’inizio dei Giochi e il giorno dopo portavano gli atleti in giro per gli impianti: qualcuno non arrivò in tempo per la gara».

Qual è l’edizione dei Giochi che le è piaciuta di più?

«Sydney per la capacità di emozionare, Pechino perché tutto era funzionale e per la disponibilità umana nei confronti di chiunque fosse coinvolto nei Giochi».

A Londra troppo twitter e troppo business?

«Twitter è un segno dei tempi, forse ne stiamo un po’ perdendo il controllo e purtroppo questo vale anche per gli organizzatori. Troppo business non direi, anzi. L’olimpismo, in questo senso, mantiene una sua filosofia, gli atleti vanno in pista senza marchi e questo è assolutamente controcorrente rispetto ai tempi. Se dessimo le Olimpiadi in mano a chi so io di business ce ne sarebbe ancora di più. Forse l’unico ambito in cui il business è un po’ spinto è proprio quello dei diritti tv: le Olimpiadi sono sempre state aperte a tutti, quest’anno invece in diversi paesi lo spettacolo non è più gratuito. La Rai comunque proporrà 13/14 ore di trasmissione ogni giorno, cercheremo di dare il meglio».

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