Il portierone bleus che ora sgomita in pista a Le Mans

di Mauro Corno
Nel 1998, proprio in questi giorni, la Francia ospitava i campionati del mondo di calcio. E se li vinse fu anche merito del suo eccentrico quanto efficace portiere: Fabien Barthez, l’uomo che prima di ogni partita si faceva baciare sulla testa pelata dal compagno di squadra e amico Laurent Blanc, regalando a milioni di spettatori una scena tra l’imbarazzante e il comico.
A diciotto anni di distanza, in pieni campionati Europei, il Divin Chauve (a differenza di alcuni protagonisti a Euro2016 ha accettato con fair play la calvizie, lui), ha altro a cui pensare: si sta preparando al meglio per partecipare alla 24ore di Le Mans, la storica gara di endurance che sabato prossimo prenderà al via alle 15 sul Circuit de la Sarthe, il lunghissimo (13.629 metri) e affascinante tracciato non permanente che dal 1923, con opportune modifiche, ospita la competizione.
Stessa grinta al volante. Barthez, 45 anni a fine mese, non si presenterà come un esordiente e tantomeno come uno sprovveduto. Appena smessi i guantoni da portiere ha calzato prontamente quelli da pilota, e si è già messo in gioco a Le Mans nel 2014, giungendo nono nella sua categoria, al volante di una Ferrari 458 Italia. Ma adesso vuole di più e si è addirittura messo in società con un ex pilota di Formula 1, il connazionale Olivier Panis (158 Gran premi corsi con Ligier, Prost, Bar e Toyota), creando una scuderia che porta i nomi dei due ex campioni (Panis-Barthez Compétition per esteso) e che gli ha approntato una Ligier Js P2: se la dividerà con Timothé Buret e Paul-Loup Chatin, due driver molto promettenti che rispettivamente hanno 24 e 20 anni meno di lui.
Una passione immensa. E se è vero che Barthez mette i soldi, non corrisponde a realtà il fatto che in cuor suo si senta così inferiore ai suoi ben più giovani compagni di squadra. D’altronde – tiene a specificare a supporto della sua tesi – la sua passione per i motori dura da decenni.
Galeotta fu la sua esperienza al Monaco, la squadra di cui difese i colori dal 1995 al 2000. Lì, anche se il circuito viene allestito per pochi giorni all’anno, l’atmosfera da Gran premio si vive ogni giorno: alzi la mano chi, avendo affrontato la curva del Tabaccaio con la propria utilitaria, non si è sentito Ayrton Senna o Lewis Hamilton, almeno per qualche secondo.
E con una Renault Clio, non propriamente con un missile, Barthez iniziò a seguire corsi di pilotaggio sulla pista bislunga di Nogaro, nel sud-ovest della Francia, per poi passare ai kart e alle monoposto, in un crescendo di risultati e di consapevolezza nei propri mezzi: nel 2013 si è laureato campione di Francia nella serie Gt Motosport con la Ferrari 458 Italia, un bolide che gli ha evidentemente sempre portato fortuna.
Prima di lui il nostro Dinone. Se un altro grandissimo portiere, Dino Zoff, iridato nel 1982 a 40 anni suonati, non ha mai fatto mistero di essere affascinato dalle quattro ruote, prestandosi anche a scriverne in rubriche legate alla Formula 1, senza però cimentarsi al volante con il piede a tavoletta, e se nel 2013 Alessandro Del Piero – campione del mondo del 2006, grazie anche a un rigore siglato personalmente a Barthez – creò un team di Endurance con la star di Hollywood e pilota Patrick Dempsey, c’è un altro partecipante alla fantastica spedizione degli Azzurri in Spagna nel 1982, Daniele Massaro, che in un certo senso ha fatto da apripista a Barthez: appese le scarpe al chiodo, nel 1998 e nel 1999 partecipò a diversi rally, entrando addirittura nel novero degli iscritti al prestigioso Rally di Sanremo, prova valida per il Mondiale Wrc. La prima volta, con una Opel Corsa, si piazzò 60esimo. La seconda, con una Opel Astra, fu costretto al ritiro. Due rese comunque onorevoli.
I rischi? Non esageriamo. Lo sterrato, il ghiaccio e le loro insidie spaventano invece Barthez. Che lo ammette candidamente, considerandoli troppo pericolosi e senza margini di errore, anche per la vicinanza del pubblico – certe volte formato da incoscienti che vanno a posizionarsi dove non dovrebbero nella maniera più assoluta – e per l’assenza di vie di fuga: se fai un’uscita a vuoto non c’è un terzino che possa spazzare via il pallone, lì rischi la tua vita, quella del navigatore e degli spettatori, ovunque siano posizionati.
Per questo anche la Dakar non fa per lui anche se nel 2006 la vinse un suo connazionale che aveva fatto faville in un altro sport assai differente: Luc Alphand, uno dei più forti sciatori specializzati in discesa libera degli anni Novanta. Più blanda, se vogliamo, la passione di Hasan Brazzo Salihamidzic: l’ex calciatore di Bayern e Juventus, a bordo di una Volvo Pv 444 del 1953 ha partecipato lo scorso anno all’Eggentaler Herbst Classic 2015, il rally di auto d’epoca che si corre tra le maestose montagne del Latemar, Obereggen e i Passi Dolomitici.
Il colpo d’occhio conta. Ma è più facile per un ex centravanti, per un ex portiere o per un ex discesista diventare un big anche nelle quattro ruote? Barthez qualche indicazione di massima l’ha buttata lì. «Il colpo d’occhio è importantissimo – ha evidenziato in una recente intervista rilasciata ad Autosprint –: è la vista che fa tutto, sia che ti stia arrivando un pallone in porta o sia una curva ti stia venendo incontro mentre sei al volante. Governare i pali, per me, è stato sempre istintivo e naturale».
«Controllavo tutto – conclude – e sapevo sempre quello che sarebbe stato giusto fare. E sono più teso oggi sulla griglia di partenza di quanto non lo fossi sulla linea di porta, sarà che tra i pali ci ho vissuto vent’anni... Anche con le auto da corsa serve il colpo d’occhio, devi guardare lontano. Ma non è istinto, è razionalità».
Non è quindi un caso che – fin dall’inizio della sua seconda vita sportiva – abbia sempre detto di ispirarsi ad Alain Prost, il Professore, un autentico calcolatore. Tra i piloti in attività oggi stravede per Fernando Alonso, tra l’altro discreto calciatore. Che come lui, al momento, non ha alcuna intenzione di scendere dall’abitacolo.
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