Il pugilato triestino perde un altro big: Nello Barbadoro

Aveva 85 anni. Peso piuma, fu campione italiano e sfiorò il titolo europeo. Ritiratosi, fu all’angolo di Mate Parlov
Di Bruno Lubis

TRIESTE. A quasi 85 anni, Nello Barbadoro ci ha lasciati. Un altro mattone della fucina triestina dei pugni è caduto. Ma non è andato ko, è uscito di scena per limiti d’età. Barbadoro lo vedevi ancora qualche mese fa a braccetto della moglie, occhiali scuri, che camminava per Roiano. A vederlo così minuto non ricordavi la sua vitalità sul ring, peso piuma tra i migliori in Italia, bloccato sulla soglia del titolo europeo da un fuoriclasse come il francese Ray Famechon in una sera d’ottobre nel 1952 a Milano. Barbadoro non cambiò il suo stile aggressivo e fu colpito dal destro terribile del francese: finì al tappeto per il conto totale e il sogno continentale svanì.

Ci riprovò, un paio d’anni dopo e disputò a Vienna uno spareggio contro l’austro-moravo Swoboda, vincendo al quarto round, dopo aver mandato a terra l’avversario altre due volte. Ebbe onori, applausi, riconoscimenti pressochè universali, ma contro il belga Jean Sneyers – eversore a sorpresa di Famechon – l’incontro si disputò sulle dieci riprese. Barbadoro vinse al secondo round ma non ebbe il titolo che gli sarebbe spettato.

Nato a Orziano di Pearo nell’aprile del 1925, Barbadoro emigrò da bambino a Fiume e là cominciò a praticare il pugilato, con la guida di Sorgo, nella fertile scuderia fiumana. Si trasferì a Trieste e la guerra frenò la sua carriera che fu lunga e piena di riconoscimenti a livello dilettantistico. Professionista a 27 anni, nel 1950, scalò le classifiche nazionali finchè ebbe la chamce di battersi con Cerasani per il tricolore. Il pugile laziale non ebbe scampo davanti al gancio sinistro del pugile allenato e diretto a Bruno Fabris. Perse il titolo italiano, lo riconquistò, provò a scalare l’Europa e le circostanze lo fermarono.

Ma di lui si ricorda la grande capacità di battersi sul ritmo forsennato, usando entrambe le mani anche se lui preferiva il mancino. Forse gli mancava la secchezza del pugno per togliersi d’impiccio qualche volta, ma ebbe potenza in grado di sgretolare 18 avversari, mandati al tappeto per il conto totale. Fu uno dei grandi pugili italiani quando la boxe era piena di talenti. E Trieste stava tra le grandi scuole solo se pensiamo che Barbadoro boxava ai tempi di Mitri, Pravisani, Minatelli e vide crescere (e qualcuno anche allenò) Benvenuti, Carbi, Del Degan. Con Mate Parlov trovò la soddisfazione di stare all’angolo di un campione, di addestrarlo nelle situazioni tecnico-tattiche mentre altri guidava il pugile jugoslavo nella carriera fortunata.

Quello con Parlov fu l’ultima avventura ad alto livello di un uomo del ring che aveva visto all’opera grandi pugili ed egli stesso fu parte di quel consesso.

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