Laurel: «Un sogno americano per i giovani talenti triestini»

TRIESTE. Stavolta a Trieste è tornato per restarci davvero. Non più solo esibizioni sul filo dei ricordi o partecipazioni a camp estivi, e poi di nuovo in cammino. Rich Laurel ha messo le tende in un appartamento tra Cittavecchia e San Giusto, con la benedizione della figlia («Dad, quella è la tua città, è bellissima»), e tante idee per la testa. Già, perchè Laurel per Trieste non vuole essere solo un icona del passato, come gli viene ricordato appena esce di casa dai tanti nostalgici dell’epoca dell’Hurlingham.
«Sono qui perchè ho diversi progetti per aiutare Trieste e i suoi giovani. Un esempio? Voglio offrire ai talenti la possibilità di andare a giocare a basket e studiare nelle Università Usa».
L’uomo che incantò una generazione di sportivi indossano la canottiera bianconeroverde con il leone fa una premessa. «Non ho la pretesa di insegnare il mestiere a nessuno nè di pestare i piedi a dirigenti o allenatori. Metto a disposizione di chi è interessato 35 anni di esperienza da giocatore e poi da coach, agente e general manager. La scorsa estate c’è stato un contatto con la Pallacanestro Trieste. Ho parlato con il presidente Luigi Rovelli di un mio possibile coinvolgimento a qualche titolo. Un contatto che però non abbiamo potuto concretizzare», aggiunge senza però porre limiti al futuro.
Chiusa una strada, ha provato ad aprirsene un’altra. «Voglio valorizzare i giovani triestini. E non parlo solamente di maschi, credo che anche in campo femminile ci sia del talento. Ho, tramite le amicizie coltivate in questi anni, contatti con 25 Università statunitensi. Io posso allenare i ragazzi preparandoli a quel mondo, sia come sportivi che da studenti. E se oltre alle promesse locali il raggio si dovesse allargare anche a gioielli sloveni e croati, meglio ancora. C’è materiale umano e tecnico per fare un ottimo lavoro...Ma si può anche pensare di svolgere un lavoro simile invertendo i fattori: ci sono molti ottimi giocatori universitari che vorrebbero venire in Europa. Io so come si gioca da queste parti e sarei in grado di preparare quei rookie, spesso inesperti e abituati agli arbitraggi Usa, ad affrontare i campionati europei».
In cantiere, intanto, c’è una manifestazione che Laurel vorrebbe allestire per il prossimo primo maggio. «A Chiarbola, perchè quella è la mia casa. Il nuovo Palasport è molto bello ma tutti i miei più bei ricordi sono nel vecchio impianto ed è lì che voglio tornare. Sto preparando un quadrangolare giovanile e mi è venuta l’idea di far indossare ai ragazzi maglie targate...Hurlingham. Stiamo già trattando con l’azienda titolare del marchio, sarebbe fantastico se dicesse sì. Immagino che ai triestini farebbe piacere vedere i campioncini di domani con addosso quel simbolo».
In questo periodo a Laurel dà ospitalità la Libertas. «Ha un presidente giovane (Pierpaolo Richter, ndr), voglia di fare qualcosa di nuovo. Per adesso stiamo lavorando bene insieme». Ma Rich è una trottola in perenne movimento: qualche settimana fa è stato portato in una scuola di Muggia. «Abbiamo parlato in inglese e giocato a basket. Tutti si sono divertiti e la soddisfazione più bella è stata sentire le parole dell’insegnante qualche giorno dopo: caro Rich, mai come quella volta i bambini sono tornati a scuola con i compiti svolti alla perfezione...»
Nella sua nuova vita triestina, oltre alle “vasche” in centro magari sfoggiando un cappello a larghe tese di cui pare molto orgoglioso, Laurel non si nega le rimpatriate con i compagni di 35 anni fa. E il bello è che a pronunciarne i nomi ancora oggi gli luccicano gli occhi. «Meneghel, un grande. Mi ha sempre protetto, anche in campo. Lui lottava e difendeva, io potevo tirare e segnare. Alberto Tonut già da qualche anno mi coinvolge in camp estivi e nelle sue iniziative e gli sono profondamente legato. E poi Angelo Baiguera, Caio (Scolini, ndr), Toscia (Ritossa, ndr)...» E via snocciolando la formazione dell’Hurlingham.
«Mi piacerebbe riportare a Trieste anche qualche straniero. Posso contattare Larry Boston, so che Dave Lawrence è rimasto in Italia. Marvin Barnes no, lui è...» e fa il gesto con i polsi incrociati a indicare le manette.
Dall’elenco manca un nome. E Dado Lombardi? «Non posso perdonarlo per quello che mi ha fatto passare in quegli anni. Mi diceva con quel suo vocione: Rich, you are crazy. E io: no, coach, tu crazy. Di lui posso dire tutto il bene e il male possibile, però alla fine, ma sì, prevale il bene. Vorrei rivederlo, lo riabbraccerei volentieri. Lancio un appello: coach Dado, se vuoi, io sono a Trieste, casa mia».
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