Pallacanestro Trieste, coach Ramondino: «Uniti nei play-off, solo questo conta»

TRIESTE. Come gestire una stagione e i play-off? Prova a spiegarlo uno degli allenatori emergenti più “nominati” all’ombra di San Giusto, coach Marco Ramondino. Uno che sa come vincere la serie A2 (vedi Tortona), uno che sa cosa vuol dire passare momenti difficili per arrivare alla meta.
Esordisce Ramondino, ospite della rubrica web “Tripla de tabela”: «La seconda serie è molto diversa da quella di quando c’era Eugenio Dalmasson. Ha una formula particolare, ha regole di mercato ristrette ed è un inferno. Abbiniamo poi al fatto che al muoversi in ambiti stretti di mercato c’è poi un terreno arido sul parco giocatori italiani, allora è veramente complesso rinforzare in corsa il gruppo. Da una piazza storica e competente come Trieste mi aspetto però una genuina coesione quando veramente conterà la posta in palio, nei play-off. Credetemi, non conta la posizione, forse nemmeno la condizione fisica, è importante percepire che coach e squadra siano calibrati sulla stessa lunghezza d’onda».
Come si esce da un periodo nero, dove il morale è a terra e ogni minuto in palestra diventa pesantissimo?
«I momenti difficili sono fisiologici, ne passai uno anche discretamente lungo con Tortona nell’anno della promozione. Unico viatico è guardarsi dentro, sentire che gruppo e allenatore hanno lo sguardo volto verso lo stesso obiettivo; in questo modo ci si compatta naturalmente, senza parlare troppo. L’allenatore è importante che mantenga la coerenza, quella paga sempre agli occhi dei propri uomini».
Ha senso intervenire sul mercato alla ricerca spasmodica di un rinforzo?
«Io penso che per la Pallacanestro Trieste, con un roster così strutturato, non abbia senso cambiare per cambiare. Lo stesso Mike Arcieri, con cui ho parlato diverse volte, non vuole gettare fumo negli occhi, ma realmente sondare per eventualmente portare a casa un giocatore, che non c’è, in grado di fare effettivamente il salto di qualità».
Simbolo di un momento di crisi in casa Pallacanestro Trieste, è Ariel Filloy.
«Ariel è un campione, prima che giocatore di basket. Nessuno come lui ha quel senso di responsabilità che somatizza nei momenti difficili della squadra; non sopporta la mediocrità ed è per questo che è diventato un grande». Un ultimo cenno a Trieste, una piazza con cui c’è un legame particolare, invisibile: «Non ci posso fare niente, è una città che ha sempre avuto fascino e appeal ai miei occhi. Sarei irrispettoso nei confronti del lavoro di coach Christian e di Mike Arcieri dire qualsiasi parola in più, ma chi mi conosce sa cosa provo per Trieste».
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