Quando Missoni vestì i rossoalabardati...

Dal collega Dante di Ragogna riceviamo questa testimonianza che volentieri pubblichiamo
La scomparsa di Ottavio Missoni porta alla ribalta della memoria personale ricordi legati alla sua presenza nella nostra città. Tanti incontri, anche lontani, nella “bottega” dell’amico Livio Fabiani, in via Rossetti, un maglificio artigianale divenuto il seme che ha fatto germogliare la fantasia creativa del mago dei colori. Diventato stella di prima grandezza nel campo della moda, le presenze a Trieste di Ottavio Missoni erano legate al piacere di ritrovarsi con Fabiani, coltivando l’amicizia con il “signor Venjulia” (il maglificio sportivo che Livio aveva realizzato in Pendice Scoglietto). A Trieste Missoni veniva sempre volentieri, aveva tanti amici. Proprio in occasione di una sua presenza a Trieste - il 23 aprile 1988 - ebbi l’opportunità di incontrarlo nella casa di Fabiani, sopra Barcola, all’inizio della strada che dal Faro della Vittoria porta a Prosecco. Non persi l’occasione per una amichevole intervista, poi riversata sulla rivista “La Triestina”, che aveva in Marco Cadelli il direttore e in me il coordinatore. La squadra alabardata era stata riportata nel 1983 in Serie B da Adriano Buffoni, ma nel campionato 1987-88 aveva pagato 5 punti di penalizzazione con una inevitabile retrocessione.
Tema della intervista era stato lo stemma della Triestina, che in quegli anni aveva abbandonato il tradizionale scudetto per adottare una sofisticata alabarda, battezzata dalla fantasia dei tifosi “cocal”. Ma la novità aveva visto decisamente contrario Ottavio Missoni. «Il tema - aveva esordito Missoni - si pone abbastanza spesso con il proposito di cambiare le maglie sportive. I vecchi simboli vengono modernizzati: qualche volta la variazione riesce, ma molto spesso ci appare più bello il vecchio del nuovo. Si può modernizzare, ripulire, stilizzare la divisa in certi particolari secondari, ma la concezione base io la terrei, non la cambierei mai. Ci sono i colori sociali, le tradizioni: tutto questo va mantenuto. L’estetica può mutare nei risvolti, non nell’essenza. Nel caso particolare l’alabarda è l’alabarda».
«Se esiste un simbolo cittadino - aveva proseguito - adottato da una società come la Triestina, esso va conservato. Le modifiche potrebbero avere un senso per rafforzare l’immagine grafica sul video, per esigenze particolari insomma, mostrando qualcosa di più visibile, di maggiore risalto. Per mentalità terrei le cose vecchie, perché il classico resiste nel tempo. Una volta le maglie erano stinte, logore, ma resta sempre il loro ricordo. Adesso ci sono materiali più belli, più vivaci. Il Modena è squadra di secondo piano, però non dimentico che i suoi giocatori erano chiamati i canarini. Se avessero cambiato colore, nel tempo, chi li ricorderebbe più? Attraverso gli anni si consolida l’immagine». L’abbandono dell’alabarda stilizzata avvenne ufficialmente nella partita Triestina-Piacenza del 13 marzo 1988. L’alabarda-cocal era stata presentata il 7 giugno 1982, dalla Mark Sport di Firenze, ma solo nel campionato 1983-84 la Triestina si presentò con le nuove maglie. Ancora una notazione per sottolineare il legame di Missoni con la Triestina. Durante i mondiali 1990 il presidente de Riù ebbe modo di contattare Missoni, per invitarlo a creare qualcosa che legasse la sua “firma” alla Triestina. La risposta non si fece attendere e nel campionato 1990-91 i giocatori alabardati durante le trasferte poterono indossare la tuta di rappresentanza che recava sulle spalle un’alabarda rappresentata da un gabbiano, ma senza arrivare alla schematizzazione del precedente logo.
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