Quel pazzo gol di Aquaro nel recupero che aprì le porte al ritorno in serie C

Lasorte Trieste 21/05/16 - Finale Playoff Serie D, Triestina - Virtus Vecomp, Festa
Lasorte Trieste 21/05/16 - Finale Playoff Serie D, Triestina - Virtus Vecomp, Festa

TRIESTE

Ci sono gol e gol. «Ogni gol è folgorazione, stupore, invenzione: ogni gol è poesia» è la descrizione magistrale del punto più alto del pathos calcistico secondo Pierpaolo Pasolini. Il gol induce piacere per chi lo fa e per chi (il pubblico) riconosce in quell’accadimento, in quell’attimo, una parte della sua stessa esistenza. Ma ci sono gol che racchiudono in sè molto di più, perché scacciano delusioni e frustrazioni o magari malriposti tabù negativi. Quello realizzato al Rocco da Giuseppe Aquaro, ragazzone nato in Svizzera, al 93’ del play-off di serie D contro la Virtus Vecomp il 21 maggio di tre anni fa, è uno di quei momenti che restano scolpiti. Perché in quel momento, un uomo di mestiere difensore improvvisatosi attaccante si getta in area da destra e regala un pari insperato (1-1), poi conservato anche grazie alle prodezze di Voltolini nell’overtime. Un pari che significa quasi serie C (anche grazie a quel risultato la Triestina tornerà tra i professionisti con il ripescaggio) dopo anni di magra, ma anche una festa in uno stadio che mai dalla sua inaugurazione aveva potuto fare festa (le due promozioni della squadra di Rossi erano state suggellate in trasferta). Sette anni di assenza dal calcio pro cancellati da un gesto di un uomo, lanciatosi disperatamente in area di rigore, con il cranio fasciato (per una ferita subita nel primo tempo). È roba da leggenda anche se in molti, tolti i cinquemila del Rocco, non se ne saranno accorti.



Eppure quel gesto tecnico-tattico-atletico-emotivo non è frutto solo del caso. Antonio Andreucci, ora primo in D a Campodarsego, tecnico gentiluomo di quella squadra capace nella regular season di 72 punti (19 più delle Vecomp, 8 dietro l’irraggiungibile Mestre di Zironelli), rivela un’illuminazione. «La partita si era messa male - dice il tecnico - anche perché dopo aver subito un gol balordo (autorete di Meduri su iniziativa di un certo Mensah) abbiamo tentato in tutti i modi di superare l’insuperabile Sibi. Con quella folle lucidità che capita nei momenti di adrenalina mi sono ricordato che in settimana, in una chiacchierata Aquaro mi aveva detto di aver giocato centravanti fino a 16 anni. E allora gli ho detto di gettarsi in avanti e fare l’attaccante aggiunto».

Il mister, con la fortuna che aiuta gli audaci, è venuto a capo di un match che sembrava perso.



La finale di quei play-off non nasceva sotto una buona stella. La Triestina, dopo una stagione strepitosa, nel primo anno della coppia Milanese-Biasin, trainata dalla vena realizzativa del brasiliano Carlos França e da una squadra tecnicamente alla pari della capolista Mestre, aveva avuto un calo di condizione. «Una stagione fantastica caratterizzata solo da una partenza ad handicap dovuta alla costruzione totale della squadra. Nel ritorno infatti abbiamo raccolto gli stessi punti del Mestre. Per la semifinale non mi preoccupava la condizione generale che era buona - spiega Andreucci - ma gli infortuni di lunga durata che avevano colpito alcuni giocatori cardine come Cecchi, Banegas e Serafini. Il loro inserimento in extremis è stata una scommessa. E poi l’altra incognita era la gestione della pressione». E infatti un assaggio delle difficoltà c’era stato una settimana prima nella semifinale contro l’Abano.



Il primo ostacolo da superare (anche in questo caso basta un pari in virtù della miglior classifica ma in caso di parità al 90’ si giocano i supplementari) è l’Abano. Gli spettatori sono quattromila e si fanno sentire ma l’Unione gioca un primo tempo un po’ sotto ritmo. Nella ripresa la verve di Corteggiano è premiata dalla rete (12’) che sembra chiudere la contesa. «Dopo quella rete non ero tranquillo - dice il tecnico - perché pur attaccando no riuscivamo a chiudere». Ed ecco al 40’ un gol direttamente da angolo di Pagan su pasticcio della difesa e del portiere Consol. Portiere che diventa eroe quando nel primo overtime para un rigore a Fracaro. Pericolo scampato e buon segnale.



«Il giorno della vigilia passeggiavo per il centro cittadino gremito di giovani e di turisti - confessa Andreucci - e mi sono detto che una città così non poteva avere una squadra in D. Trieste e il suo Rocco meritano almeno la B. Ma quella vivacità mi dava energia per affrontare al massimo l’impegno decisivo». In prevendita erano già stati staccati quasi tremila tagliandi e la città, dopo tanti anni di letargo, si era riaccorta della Triestina. Il merito va a quella parte della tifoseria che mai aveva mollato e all’arrivo del tandem Milanese-Biasin».



La coreografia del Rocco è da brividi. È sempre successo a Trieste nei momenti clou dello sport, e succederà ancora quando il popolo alabardato uscirà dalla sfiancante quarantena e quando si potrà tornare allo stadio.

In quel pomeriggio assolato tutto giocava a favore della festa finale. Tutto tranne l’autogol di Meduri e le parate di Sibi, un ragazzo raccolto da un barcone dallo straordinario Gigi Fresco. «In un momento di tensione, dopo aver fatto entrare Cecchi, Banegas e Serafini e prima di chiedere ad Aquaro di avanzare guardo la panchina - racconta mister Andreucci - e incrocio lo sguardo del preparatore dei portieri Roberto Boldrin che mi dice guardando la curva: “Se non segniamo dobbiamo trovare una porta di servizio per uscire da qui”. Ho rotto gli indugi giocandomi il tutto per tutto».

Anche così si vince. Solo così si stuzzica la magìa dello sport: stadio Rocco, 21 maggio 2017, ore 17.51, gol di Aquaro. Non un gol come tutti gli altri. —

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