Tanjevic: «Rimango a casa e mi abbraccio con il mondo»

Boscia dalla casa triestina dialoga con amici e sportivi: «Ho sempre rispettato le regole. Nei momenti più difficili non sono mai scappato. Mi sono fidato»
Foto Bruni 30.03.14 Basket Adecco Gold:ACEGAS TRIESTE-NAPOLI-GHIACCI CON TANJEVIC E L'AMBASCIATORE
Foto Bruni 30.03.14 Basket Adecco Gold:ACEGAS TRIESTE-NAPOLI-GHIACCI CON TANJEVIC E L'AMBASCIATORE



L’uomo delle mille esperienze, delle scommesse affascinanti, dei diecimila libri, delle centinaia di Palasport, dei sogni, dell’internazionalità culturale e tecnica come unico lasciapassare è anche l’uomo delle prove di coraggio. Ha combattuto la sua battaglia personale contro un nemico feroce, ha spalancato le braccia e le porte di casa per accogliere in passato chi cercava scampo e conforto da una guerra che divorava i Balcani. Bogdan Tanjevic nei giorni del coronavirus non può che essere lo stesso Boscia di sempre. Anche se rimane a casa, a Trieste, è come se fosse il mondo ad andare a visitarlo. Telefonate. Mail. Messaggi, da allenatori, ex giocatori, tifosi o amici sinceri e di lunga data.

«Rimango a casa, certo. Mi sono sempre considerato un uomo molto rispettoso delle leggi. Scendo in strada per fare due passi e prendere due cose, di solito arrivo fino alla vecchia sede della Pallacanestro Trieste e torno indietro».

Come sta vivendo questo momento?

«Considerandolo una emergenza che va affrontato con senso di responsabilità e con fiducia. Ho dovuto affrontare nella mia vita un serio problema. Qualcuno mi suggeriva specialisti negli Stati Uniti, cure alternative, le soluzioni più disparate. Io sono stato coerente con le mie convinzioni. Mi trovavo ad allenare in Turchia e ho voluto curarmi lì. Mi sono fidato dei medici del posto, della mia società. Il nemico si combatte dove ti attacca. Non ho mai pensato di scappare o di affidarmi a presunti maghi».

In queste settimane diversi giocatori statunitensi stanno lasciando l’Italia per rientrare negli Usa.

«Credo che sia giusto lasciare libertà di scelta. Ho sempre pensato che la salute dei miei ragazzi avesse la priorità, non ho mai voluto farli rischiare. È legittimo che ciascuno segua il proprio cuore».

Federazioni e leghe dei vari sport non hanno ancora adottato una linea comune di comportamento. Però la Fiba, la Federazione internazionale del basket, ha deciso di fermare le proprie manifestazioni. La stessa serie A è ferma ma il campionato non è stato ancora ufficialmente annullato nonostante paia inevitabile quella decisione.

«Ogni Stato si sta comportando in modo diverso e non solo nello sport. L’Inghilterra sta ritardando il confronto con il problema, in Turchia è bastato un solo caso per spingere il basket a chiudere gli impianti al pubblico. La mia idea? Fermiamoci tutti per almeno un mese. Almeno».

Che Trieste nel coprifuoco vede dalla sua finestra?

«Una città che quando può farlo ama vivere intensamente e divertirsi ma che quando deve rispettare le leggi è estremamente rigorosa: non è forse una caratteristica di Trieste andare a pagare le tasse o le bollette subito all’apertura degli uffici? Altrochè aspettare le scadenze, a Trieste meglio cinque giorni di anticipo. Però...»

Però?

«...Però fa uno strano effetto vedere le Rive deserte. Il parcheggio sgombro, nessuno che cammina annusando l’aria di mare. Sento passare un’auto con un megafono che invita la gente a stare a casa. Questa è una esperienza che tutti stiamo affrontando per la prima volta. E non importa quanti anni abbiamo o cos’altro abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Una frase di Romano Prodi mi ha colpito: «É la prima volta in 80 anni che non vado a Messa la domenica». La prima volta in 80 anni...»

Lei vive a Trieste ma è un uomo con amicizie profonde e affetti anche lontano da qui. Immaginiamo che ognuno dalla propria finestra darà conto di cosa succede.

«Belgrado, Sarajevo, Montenegro, e tanti amici dappertutto. Passiamo le giornate al telefono, i contatti non svaniscono».

Tra quei contatti ci sarà un altro leggendario uomo di basket con cui ha condiviso molte giornate triestine negli ultimi anni. Dragan Kicanovic.

«Anche se Kicia non è più il console generale della Serbia a Trieste, ci sentiamo regolarmente ogni due giorni. L’amicizia è fatta anche di abitudini. Sta pressochè stabilmente a Zlatibor, si occupa con passione del suo albergo. Ma gli anni trascorsi qui sono bastati per renderlo un po’ triestino». —



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