Tortu più veloce di Mennea «Per me un’emozione unica»

Lo sprinter è rientrato a Milano dopo il 9.99 nei 100 di Madrid: «Sapevo di valere questo tempo ma ora penso agli Europei. Pietro è una leggenda inarrivabile»

MILANO . Da quasi sconosciuto nonostante la buona carriera e la giovane età a quasi star accostata a Mennea. Filippo Tortu a Madrid è stato il primo italiano a scendere sotto il muro dei 10” (con il suo 9.99) nei 100 metri e a spazzare via l’eterno record italiano della Freccia del sud. Il brianzolo al rientro a Malpensa ha trovato i cronisti e tifosi ad aspettarlo.

«Il mio record sui 100 metri è un'emozione unica. Non solo ho battuto un primato storico, del mio mito Pietro Mennea, che resta il più grande atleta italiano di sempre, ma l'ho fatto davanti alla mia famiglia e al mio staff. Il mio 9”99 non è una sorpresa - evidenzia- perché già nelle gare precedenti mi ero avvicinato molto. Ma non ho ancora realizzato ciò che ho fatto». Ma ora c’è un appuntamento che conta per l’atletica italiana e per lo sprinter azzurro. «Dopo il record resto concentrato sugli Europei di Berlino. Ad inizio anno il mio obiettivo era raggiungere la finale e ancora oggi resta quello, ma il bello dei 100 metri è che può sempre succedere di tutto».

Tortu è seguito dal padre che è anche il suo trainer.Tortu da sempre ha una lavagna. Col gesso bianco segnò 10«72, il tempo del suo primo exploit a 16 anni sui 100, e a fianco -73 a indicare quanto gli mancava per abbattere il muro dei 10 secondi. Poi via via a scalare qualche centesimo a ogni miglioramento. Ora il 9”99 lo consacra fenomeno dello sprint azzurro e non solo, a 19 anni, e il papà-allenatore racconta: «Filippo è nato per correre». «Lui nel Dna è campione, ma lo è diventato anche per lavoro» spiega Salvino

Tortu, 59 anni, avvocato, un passato in Publitalia e poi una vita spesa sul filo del cronometro. Lo ha visto crescere in famiglia, con la mamma che sgrida chiunque lo chiami Pippo e il cane Ettore cui tutti sono affezionati; e lo ha accompagnato soprattutto in pista. «Da quando Filippo era bambino, ho sempre detto che sarebbe potuto diventare un campione. Sin da piccolo, più che camminare sprintava. Andava più veloce degli altri anche quando giocava a basket». Poi è arrivata quella lavagna a spiegare cosa aveva in testa e nelle gambe il ragazzo prodigio.

«Correva negli allievi, fece i 100 in 10”72 e tornò felice a casa. Ma sulla lavagna sopra il letto scrisse -73 accanto al suo traguardo. Ora recita l'ultimo tempo prima di Madrid: appena arriviamo aggiorniamo...».

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