Niente deroghe dagli Usa: la raffineria serba a secco viaggia verso lo stop

Sanzioni per la Nis, controllata da Mosca: prosciugato il flusso dalla Croazia. L’impianto di Pančevo ora rischia la chiusura totale in brevissimo tempo. L’impatto sulle stazioni di servizio

Stefano Giantin
L’impianto della Naftna Industrija Srbije (Nis) a Pančevo
L’impianto della Naftna Industrija Srbije (Nis) a Pančevo

Un’altra speranza, forse mal riposta, che sfuma. E la situazione si ingarbuglia sempre più. Riguarda la Serbia, colpita al cuore da sanzioni americane che stanno mettendo in ginocchio, fin dal 9 ottobre, il gigante nazionale degli idrocarburi, Naftna Industrija Srbije (Nis), ancora controllata da Mosca e per questo nel mirino di Washington. Le sanzioni, ricordiamo, hanno prosciugato il flusso di greggio in arrivo dalla Croazia e hanno obbligato la mega-raffineria Nis di Pančevo, l’unica attiva nel Paese, a entrare la scorsa settimana in rallentamento forzato, con l’attivazione del cosiddetto stato di “circolazione calda”, la produzione ai minimi, idrocarburi ancora in circolazione nel sistema solo per non tenere gli impianti attivi. Pančevo – essenziale per la stabilità della Serbia – sarebbe potuta ripartire a breve, almeno per la produzione di diesel, in caso di concessione di una deroga da parte di Trump, gli auspici delle autorità di Belgrado. Che non si sono tuttavia realizzati.

 

Serbia e Ungheria trattano su Nis per aggirare le sanzioni americane
Il premier ungherese Orbán e il presidente serbo Vučić a Bruxelles

«Speravamo di ottenere una licenza dal governo Usa per permettere a Pančevo di continuare a lavorare, ma non abbiamo ricevuto una risposta positiva, da parte di Washington entro il 2 dicembre», ha così annunciato ieri il presidente serbo Aleksandar Vučić. Che in tv ha tracciato un quadro veramente preoccupante, per i serbi e la Serbia tutta. Senza deroghe Usa infatti Pančevo rischia la chiusura totale in brevissimo tempo. Ora «dipende da loro», ha detto, se decidere lo stop «oggi, domani o dopodomani». Ma il processo di spegnimento è in realtà già iniziato ieri.

Non è finita. A causa delle sanzioni la croata Janaf, gestore dell’oleodotto Adriatico, avrebbe inoltre rifiutato di far affluire nafta in Serbia, destinata alle riserve strategiche, malgrado Belgrado avesse «garantito che non l’avremmo girata a Nis», ha svelato Vučić. Potrebbe anche andare peggio, perché su Belgrado pende ora la spada di Damocle delle cosiddette «sanzioni secondarie», che potrebbero colpire le banche che ancora intrattengono rapporti con Nis. Belgrado, su questo fronte, ha scelto di esporsi. «Abbiamo deciso, a nostro rischio, di assicurare le transazioni di pagamento con Nis sino alla fine della settimana», ha informato il leader serbo, in modo da permettere all’azienda «di pagare fornitori e dipendenti», più di 14 mila persone impiegate in un colosso che vale il 5% del Pil serbo e il 10% delle entrate statali. Fino a sabato Nis avrà quindi ancora accesso ai pagamenti bancari, ma dopo lo Stato dovrebbe interrompere i rapporti.

In vigore le sanzioni Usa alla Nis, il presidente serbo Vučić: «Riserve ok da qui al 2026»
Il discorso del presidente serbo Aleksandar Vučić sulle sanzioni al colosso dell’energia Nis. FOTO ANDREJ CUKIC

Ma con Nis in ginocchio – e Lukoil, sempre sotto sanzioni, che dovrebbe seguire a ruota, dal 13 dicembre – quale sarà l’impatto sulle stazioni di servizio, su aeroporti, scuole e ospedali? Il quadro è fosco. La Serbia, ha assicurato Vučić, avrebbe riserve sufficienti di carburante «sino alla fine di gennaio», ma gli automobilisti dovranno presto «servirsi di altri distributori» che non siano Nis e Lukoil, perché lo Stato non potrà rifornirli. L’impatto potrebbe essere pesante soprattutto nelle campagne e nei centri minori, dove i distributori Nis sono i più diffusi. Non ci sarebbero invece preoccupazioni per il carburante per gli aerei e per il combustibile da riscaldamento.

Rimane però irrisolto il vulnus da cui tutto parte, il controllo russo su Nis. Su questo fronte, nulla si muove, malgrado l’“ultimatum” evocato da Vučić la settimana scorsa: «50 giorni» per risolvere la questione via nazionalizzazione o riacquisto delle quote russe. E Belgrado, ha svelato il direttore generale di Srbijagas, Dušan Bajatović, sarebbe pronta a sborsare 1,4 miliardi di euro per riprendere il controllo di un gigante in agonia. —

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