A Gorizia cinghiali sfamati con pane e formaggio

GORIZIA. Al Parco di Piuma, a Gorizia, i cinghiali aspettano ogni sera che arrivi la Cinquecento rossa. Sanno che porta pane e formaggio. A scaricare puntualmente il cibo è la signora Franca. Si ferma sempre nello stesso punto: una decina di metri a monte dall’ingresso del Giardino Viatori. È lì che svuota dal finestrino i sacchi sistemati sul sedile del passeggero. I cinghiali riconoscono il rumore della macchina e si avvicinano come cagnolini domestici. Mangiano e scompaiono nel nulla.
Tutta l’operazione dura poco più di un minuto e se, per caso, in zona arriva un'altra macchina loro scendono fino alla strada, senza uscire dalla boscaglia. Si affacciano dal verde, limitandosi a scrutare da dietro le fronde. Non si fidano. Ci si accorge di loro solo perché nella penombra si vede brillare un paio d’occhi piccoli e tondi. Stanno perfettamente immobili. Il cinghiale rimane fermo nel tentativo di capire chi ha di fronte. La ricerca affannosa del telefono per scattare una foto non dà i frutti sperati: lui è scomparso. Per dileguarsi ha aspettato l’esatto istante in cui abbiamo distolto lo sguardo da lui. Pochi minuti più tardi, due cinghiali escono allo scoperto, ma rimangono a distanza. Si muovono in fondo ad un campo neppure questa volta si allontanano dal bosco. La loro presenza infastidisce un giovane capriolo che fugge via. È l’imbrunire, ma al Giardino Viatori è previsto un sopralluogo in vista di un concerto.
Il segretario generale della Fondazione Carigo, Giuseppe Bragaglia, ci accompagna al belvedere. Da qui, dice, si possono osservare in sicurezza gli ungulati. Il balcone si affaccia sulla Groina, passaggio obbligato per scendere verso il ponte del Torrione. Qui Viatori aveva fatto erigere una rete metallica per evitare che le piante del suo giardino venissero devastate. Il cielo diventa sempre più scuro e pensando d’essere protetti dal buio, i cinghiali si diventano più coraggiosi e si avvicinano. Dal loro grugnire si capisce che si trovano a pochi metri di distanza. Sentirli senza vederli risulta abbastanza inquietante. A un certo punto la loro sagoma diventa riconoscibile. Osservano la presenza umana senza riuscire a capire davvero le intenzioni del “nemico”. La stagione venatoria è aperta da settimane. I cacciatori però aspettano nel bosco, non tra le case: non possono sparare in prossimità delle aree abitate e gli animali sembrano quasi saperlo. L’odore di selvaggio si fa intenso. È acre e pungente ed entra nel naso per rimanerci a lungo. Intorno alle 22 arriva anche una scrofa accompagnata dai suoi piccoli. Attraversa la strada seguita dai cuccioli in fila indiana. Starle alla larga, in questo caso, è l’idea migliore. Pochi minuti più tardi si materializza anche la Cinquecento rossa.
Il buio avvolge ormai tutto ciò che non viene inquadrato dai fari. Il banchetto ha inizio. Come da protocollo il pane e il formaggio vengono scaricati dal finestrino. Il rumore del motore non è abbastanza forte da coprire quello della frenesia alimentare dei cinghiali, capaci di divorare in pochi istanti tutto ciò che trovano al suolo. Gli invitati potrebbero essere una decina in tutto, ma quantificare i “coperti”, nell’oscurità, è impossibile
. «È un abitudine: sono così teneri, ma penso che dovrò smettere; nessuno li vuole, mi dispiace però», racconta poco più tardi la donna, ricordando d’aver anche preso diverse multe per questa sua “abitudine”.
Più che le numerose sanzioni, sembra che a convincerla a desistere sia stato l’articolo sulle devastazioni registrate al Parco di Piuma pubblicato dal Piccolo martedì. L’“hobby” dei cinghiali è iniziato 14 anni fa andando a passeggio con il cane: «Lasciavo qualcosa… ora il cane non viene più, ma io continuo». La signora Franca non dimostra alcuna paura. «Io non scendo dalla macchina», sottolinea aggiungendo che il pane ed il formaggio li prende dai supermercati (“Li buttano via”). A proposito dell’aggressione di Trieste, ha un’idea ben precisa: «Quell’uomo doveva rimanere in casa e aspettare che il cinghiale se ne andasse».
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