A Gorizia lutto cittadino per Vittorio, il carabiniere morto da eroe: «La sua missione finiva tra dieci giorni, poi doveva sposarsi»

GORIZIA. Non c’è addestramento che possa preparare a sopportare una notizia straziante come quella che ieri mattina è arrivata alla caserma del 13mo Reggimento Carabinieri “Friuli Venezia Giulia” di Gorizia.
L’attentato. Gli spari. La perdita di un compagno. La morte dell’appuntato Vittorio Iacovacci in un attacco al convoglio delle Nazioni Unite in cui faceva da scorta a Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano in Congo, ha scosso l’intero reparto. Lo ha fatto riportando le lancette del tempo alla Strage di Nassiriya, ma anche all’Afghanistan. Non poteva essere altrimenti.
Vittorio Iacovacci era originario di Sonnino, in provincia di Latina. Aveva frequentato il corso per diventare carabiniere a Iglesias, in Sardegna, nella scuola allievi dell’Arma e a Gorizia era arrivato nel 2016. A breve avrebbe dovuto fare rientro in Italia. Era partito per il Congo in settembre e la sua missione era ormai giunta al termine. Amava il suo lavoro. A confermarlo è stata la zia tra le lacrime: «Era orgoglioso di indossare la divisa».
A Gorizia l’appuntato Iacovacci viveva in caserma, ma stava preparandosi per il matrimonio. Doveva sposarsi a giugno con una ragazza del nord che vive nel suo paese d’origine. La casa era pronta. «Era molto benvoluto - ricordano i compagni -. Era generoso e molto preparato. Siamo tutti scossi. È stata una notizia che ci ha toccato al cuore e ora siamo idealmente tutti vicini alla famiglia di Vittorio».
Mentre sul piazzale della Caserma “General Cascino” la bandiere è a mezz’asta, il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, annuncia di aver dichiarato il lutto cittadino per il giorno del funerale del trentenne carabiniere del Lazio. «Gorizia - le parole di Ziberna - si ritrova a vivere lo stesso dolore di 17 anni fa, quando, a Nassiriya, vennero assassinati tre carabinieri del 13mo Reggimento Fvg».
In Iraq l’attentato alla Base Maestrale del 12 novembre 2003 aveva provocato la morte di 28 persone (19 italiani e 9 iracheni). Nella strage avevano perso la vita anche il maresciallo capo Daniele Ghione, il brigadiere Ivan Ghitti e l’appuntato Andrea Filippa, tutti in forza al reparto di via Trieste. L’ultimo caduto del 13mo Fvg è stato però un altro trentenne: il carabiniere scelto Manuele Braj. Morì il 25 giugno 2012 colpito da un razzo sparato contro la base di Adraskan, nella provincia di Herat, dove i carabinieri addestravano la polizia afgana.
Esprimendo il cordoglio della comunità di Gorizia e la vicinanza alla famiglia e all’Arma dei Carabinieri, il sindaco si è sentito, già in mattinata, con il comandante del 13mo Reggimento, il colonnello Saverio Ceglie, annunciando una sua visita in caserma per esprimere di persona il dolore della città.
«Vorrei che il sacrificio di chi, ogni giorno, rischia la propria vita per cercare di difendere la pace in Paesi feriti dalla guerra non fosse vano, ma servisse per far crescere questo grande valore nelle giovani generazioni», ha sottolineato Ziberna, proseguendo poi: «Accanto al dolore dobbiamo esprimere con forza il nostro orgoglio per questi servitori dello Stato che non temono di mettere a repentaglio le loro vite per salvare quelle di tante altre persone».
Il primo cittadino ha quindi manifestato la volontà di partecipare personalmente al funerale del militare («Se le misure anti Covid lo consentiranno») e, in ogni caso, se non fosse possibile, ha assicurato che la città sarà presente con una corona di fiori.
«Gorizia, conosce il significato profondo delle devastazioni di una guerra, devastazioni anche psicologiche ed emotive di cui ancora oggi porta le cicatrici, ma conosce anche la forza della speranza e della volontà di reagire che l’hanno spinta a partecipare alla costruzione di un nuovo futuro di pace».
Riproduzione riservata © Il Piccolo