«A Gorizia non si può morire con dignità»

L’Hospice per i malati terminali divide i propri spazi con la Rsa, dove sono ricoverate persone in fase di riabilitazione
Di Francesco Fain
Bumbaca Gorizia 29.09.2016 Conf stampa ASL © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 29.09.2016 Conf stampa ASL © Fotografia di Pierluigi Bumbaca

«Va individuato un opportuno spazio per l’hospice riservato ai malati terminali che oggi è inserito, scandalosamente, nella Rsa (Residenza sanitaria assistenziale)».

La richiesta, forte e chiara, indirizzata all’Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina, viene formulata dal Consiglio comunale di Gorizia nell’ambito del (ben più articolato) documento che finirà dritto dritto sulle scrivanie dell’assessore regionale alla Sanità Maria Sandra Telesca e del direttore generale dell’Aas 2 Giovanni Pilati.

Succede, infatti, che a Gorizia l’hospice, in quanto tale e così definito, non c’è più. «E a Gorizia non si può morire più con dignità. L’Azienda sanitaria deve realizzare al più presto un hospice vero», affonda il colpo l’assessore comunale al Welfare, Silvana Romano. Si definiscono “centri residenziali di cure palliative” (ovvero hospice) le strutture, facenti parte della rete di assistenza ai malati terminali, per l’assistenza in ricovero temporaneo di persone affette da malattie progressive ed in fase avanzata, a rapida evoluzione e a prognosi infausta per i quali ogni terapia finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazione della patologia non è più possibile o comunque risulta inappropriata.

Nascita

e smantellamento

Sino al 2015 esisteva un hospice. Anche se non aveva proprio le caratteristiche giuste perché tali servizi devono avere peculiarità strutturali e modalità organizzative specifiche diverse da quelle dei reparti ospedalieri. Eppure, l’hospice c’era ed era ospitato al quinto piano del San Giovanni di Dio, in un’ala a fianco della Rsa. C’erano cinque stanze singole, spazi ampi, televisore a muro, quadri alle pareti e un bagno privato. Insomma, veniva data la possibilità, ai malati terminali bisognosi di cure palliative, di usufruire di un’assistenza specializzata in un ambiente il più possibile simile a quello domestico, con l’accoglienza anche dei familiari e la loro collaborazione alle cure del paziente. Queste, dal dicembre 2008 (inaugurazione dell’ospedale) all’inizio del 2015, le caratteristiche del piccolo reparto del nosocomio di via Fatebenefratelli dove molti malati hanno trascorso l’ultimo tratto della loro vita. Ma, nell’ottobre del 2015, la funzione di quei locali cambio perché lì si trasferì, da Villa San Giusto, il nucleo cerebrolesi e Sla. A onor del vero. l’hospice era stato chiuso già alcuni mesi prima, per la mancanza di personale che potesse seguire i malati.

La situazione

attuale

Ma, in tutti questi mesi, dove sono stati ospitati i malati terminali? «Continuano ad essere mescolati con quelli della Rsa che, tra l’altro è costantemente, sovraffollata con liste d’attesa anche piuttosto lunghe», attacca l’assessore comunale Romano che chiede con forza l’attivazione dell’hospice, facendo proprio il documento del Consiglio comunale. Di fatto, sono stati cinque posti letto persi. Ma è svanito nel nulla, soprattutto, il discorso del comfort e della privacy.

In ultimo, alcune considerazioni di Maria Anna Conte dell’hospice “Il gabbiano” di San Vito al Tagliamento. In un documento, consultabile sul web, si evidenziano le caratteristiche di tale servizio che «deve essere un luogo che offra assistenza tecnica qualificata e “multiruolo” in un ambiente il più familiare possibile. Il malato terminale - si legge ancora in quelle pagine - non è un paziente come gli altri, ha intrapreso un percorso il cui esito è già noto e deve poter trascorrere il tempo che ha a disposizione con dignità e, se possibile, senza sofferenze fisiche, emotive, psicologiche e spirituali».

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