A Missoni la cittadinanza onoraria
La notizia è che stasera il consiglio comunale voterà il conferimento della cittadinanza onoraria a Ottavio Missoni. Ma «nisun me ga dito niente, giuro cocola mia, xe una sorpresa...» Dalla sua casa di Sumirago, Varese, l’atleta olimpico dagli otto tricolori nonché signore delle «maie» a zig zag, quelle che gli hanno spalancato le porte dei mercati e poi dei musei del mondo, si stupisce.
La cittadinanza onoraria? «Sarà un bel regalo de Nadal», commenta. E sarà anche il rafforzare un legame con la città che «in un certo senso ci ha adottato, noi che eravamo profughi dalmati». Quella città dove lui negli anni è sempre tornato spesso a trovare gli amici e anche a ricevere riconoscimenti, come il San Giusto d’oro, ricorda. Del resto per Missoni, nato nel 1921 a Ragusa e trasferitosi bambino a Zara, Trieste è anche il luogo della giovinezza, degli studi, delle prime «maie». In dialetto, certo: «Più o meno triestin, perché mi parlo dalmato, ma noi dalmati ve gavemo dado parzialmente o quasi totalmente el nostro dialeto: ai primi del’Otocento a Trieste no iera dialeto, iera quatro furlani e quatro sloveni, dopo con l’Austria xe ga svilupado el porto» dell’Impero «grazie alla gente di mare, quei che vigniva tuti da l’Istria e dala Dalmazia, compresi i grandi armatori: i Martinoli, i Tripcovich...»
E allora, i ricordi: «A Zara non andavo niente bene, ero sempre bocciato, poi a Pola ho dato gli esami e mi hanno promosso alle superiori, iero zà mus grande, zà bravo de corer a pìe... A Trieste c’era il liceo scientifico, quel dopo la galeria, l’Oberdan. Ma son ’ndado due volte, dopo no i me ga visto più. Frequentavo molto poco la scuola, ma assai la palestra. Quella della Ginnastica triestina, per fare sport ma anche per ballare la domenica... Il tè danzante, si chiamava. E po’ se ciapava el tram e se ’ndava in stadio, dopo il cimitero: c’era la famosa Triestina con patron Rocco, con cui andavamo a bere insieme... Ecco: le mule, i balli, el stadio e la palestra xe i mii ricordi principali de Trieste». Sorride, Missoni. Perché certo, non è solo questo. Anche quando tornò qui nel ’46, dopo i quattro anni di prigionia in Egitto, «Trieste mi ha formato per gran parte della mia modesta cultura». Perché c’erano «la libreria di Saba, ero già allora un suo estimatore. E poi Mascherini, Perizi... Episodi? No, è un mis mas. Trieste ha una caratteristica che mi è rimasta impressa: c’erano i caffè e le osterie, iera tuto un grande salotto e no serviva darse apuntamento: te te vedevi in Acquedotto, o in piazza Unità...»
E a Trieste nacquero le prime «maie». «Ci siamo messi in società con Giorgio Oberweger, che aveva una mamma, una zia e delle macchine per maglieria che non sapevano far funzionare. Io e lui eravamo i presidenti della società: ”Ma Giorgio, e chi lavora?” ”Per quel xe Livio”, suo cugino Fabiani, diceva». Poi Rosita, sposata nel ’53: «Ci siamo trasferiti in Lombardia, anche perché onestamente a Trieste iera più facile varar una nave che far maie». Le prime confezioni, i tre figli, le collezioni per la Rinascente, i successi a Milano e a Firenze, l’incontro con Diana Vreeland, la direttrice di Vogue America. E poi Missoni nel mondo. «Ma con Trieste ho sempre mantenuto un buon rapporto, e un poco me sento triestin», dice oggi Ottavio. Che diventerà, lui storico «sindaco del Libero comune di Zara in esilio», cittadino onorario di un capoluogo non più stritolato dagli spettri della storia e dalla realtà dei confini... Perché tra pochi giorni qui si farà festa per l’ingresso della Slovenia in area Schengen. «Meno mal, sarìa ora, Trieste - ma anche la costa dalmata - potrà finalmente riprendere quel respiro mediterraneo e europeo che è la sua natura».
Ma dimenticare il passato sarà dura? «Le guere no bisogna mai farle, ma se te le fa te devi vinzerle, se no te son mona... Per questa guera che no se doveva far noi, 360 mila esuli, abbiamo pagato un prezzo sia morale che materiale che nessun altro ha pagato, e con grandissima dignità. Ma tute le storie va come che vol, e piano piano... Sulla costa, da Cattaro fino a Trieste, abbiamo lo stesso turpiloquio, la stessa cultura. L’ulivo resta ulivo, i scampi xe scampi... Io spero che il mare Adriatico, che per secoli ha unito le due sponde, le due coste, torni a unirle. A rimetterle un poco insieme».
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