A Trieste parte il piano “un profugo in famiglia”

Comune, Prefettura, Caritas e Ics puntano sulla solidarietà. Ai cittadini che accoglieranno uno straniero 400 euro al mese
Una giovane profuga con il suo bambino: a Trieste sta per partire un nuovo progetto di accoglienza
Una giovane profuga con il suo bambino: a Trieste sta per partire un nuovo progetto di accoglienza

TRIESTE «Perchè non ve li portate a casa vostra?». Una domanda provocatoria, quella rivolta ai cosiddetti "buonisti", che puntualmente trova spazio nelle discussioni più accese sul tema dell’accoglienza dei richiedenti asilo. L’invito ad aprire le porte di casa propria è l’argomento più utilizzato nelle chiacchiere da bar o fra le pagine dei social network come se il concetto di stato sociale non avesse più valore e cittadinanza nella società attuale.

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Eppure dalla fine di novembre le cose potrebbero cambiare e questo tipo di quesiti potrebbe trovare altre possibili risposte, dal momento che sta per essere varato un nuovo progetto di accoglienza che vede uniti il Comune e la Prefettura di Trieste, la Caritas diocesana e l’Ics-Consorzio italiano di solidarietà.

Si chiama “A Trieste l’ospitalità è di casa” e si rivolge a tutti i cittadini intenzionati a mettere a disposizione la propria abitazione per l’accoglienza di un richiedente asilo. «L’iniziativa si inserisce all’interno del modello triestino di accoglienza diffusa – spiega l’assessore comunale alle Politiche sociali Laura Famulari – e rappresenta una preziosa occasione di reciproca conoscenza, basata su uno scambio linguistico e culturale».

Il progetto è già stato sperimentato con successo in altre parti d’Italia e poggia le basi sulla vocazione solidaristica di molti comuni cittadini che, attraverso un gesto concreto, vogliono prendere posizione sul tema dell’immigrazione.

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Anche a Trieste, dopo Parma e Torino, una decina di famiglie ha già dato informalmente la propria disponibilità e le prossime settimane serviranno a mettere a punto le migliori modalità di accoglienza. Il progetto, però, ha già un’identità ben precisa che è nata dal lavoro fra le istituzioni e le realtà che storicamente si occupano di rifugiati.

Le persone accolte nelle abitazioni private, una o due al massimo, saranno inserite nel programma di accoglienza diffusa. Le famiglie non saranno lasciate sole e verranno costantemente supportate in ogni fase dell’accoglienza dagli operatori della Caritas e dell’Ics, che garantiranno gli accompagnamenti necessari e la presenza nei momenti di verifica. Il percorso, quindi, rimarrà di carattere pubblico.

La Caritas e l’Ics, infatti, continueranno a essere responsabili dell’andamento del progetto individuale. A loro spetterà la copertura economica dei servizi fondamentali quali l’assistenza sanitaria, l’accesso ai corsi linguistici e di formazione, solo per fare alcuni esempi. Per accogliere i rifugiati, però, non si dovrà disporre di risorse particolari, ma sarà sufficiente condividere uno spazio abitativo adeguato.

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Per fare in modo che questa esperienza possa essere alla portata di tutti, l’iniziativa prevede un contributo economico forfettario di 400 euro mensili che verrà riconosciuto a ogni persona o nucleo familiare che metterà a disposizione la propria casa.

«I richiedenti asilo che entreranno nelle abitazioni private – precisa il presidente dell’Ics Gianfranco Schiavone – saranno già sufficientemente autonomi. L’incontro con le famiglie triestine avverrà nella fase conclusiva del loro percorso di accoglienza. L’obiettivo del progetto, infatti, non è tanto quello di dare una risposta abitativa, ma è finalizzato ad accelerare la fase di inclusione sociale di persone con una lingua e una cultura differente da quella italiana».

L’inserimento del rifugiato nel nuovo nucleo familiare sarà graduale, durerà sei mesi, prorogabili al massimo per altri sei mesi, e sarà vincolato alla sottoscrizione di un contratto di accoglienza. Chi verrà accolto riceverà molto, ma sarà anche in grado di restituire, in modi forse inaspettati e imprevedibili. Un’esperienza di solidarietà potrà trasformarsi in un’occasione per conoscere il mondo e per guardare al di là del proprio naso senza pregiudizi.

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«Finalmente possiamo partire anche a Trieste con questa esperienza – così don Alessandro Amodeo, direttore della Caritas diocesana - . Attendevamo di ricevere dalla Cei e dalla Caritas italiana delle indicazioni sulla fattibilità di questa proposta e sulle modalità per portarla avanti. Abbiamo lavorato in sinergia con l’Ics e con le istituzioni, trovando da subito una comunione d’intenti».

Per almeno una decina di famiglie triestine le prossime festività natalizie avranno un significato diverso. Nelle loro case mondi esteriori e interiori si mescoleranno, si racconteranno desideri, storie, gioie e preoccupazioni e si scoprirà ogni giorno il piacere di condividere la responsabilità di un obiettivo comune: costruire un futuro meno incerto per ognuno di noi.
 

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