A Trieste un piano da dieci anni di interventi per “liberare” i torrenti cittadini

Investimenti per 4-5 milioni. Obiettivo scongiurare i rischi idrogeologici legati al deposito di materiali 
Foto BRUNI 27.09.2017 Via carducci- visita alle galleria del sottosuolo
Foto BRUNI 27.09.2017 Via carducci- visita alle galleria del sottosuolo

TRIESTE “Piano coordinato di interventi finalizzato alla prevenzione del rischio idraulico nel bacino idrografico del torrente Chiave e dei suoi affluenti”: il titolo sarebbe già bastevole a illustrare le preoccupate ragioni dell’accordo di programma, approvato nei giorni scorsi dalla giunta comunale.

Accordo che dovrà essere sottoscritto anche dalla Regione, dall’Autorità portuale, dall’Autorità unica per i servizi idrici e rifiuti; vi partecipa AcegasApsAmga in qualità del gestore del sistema idrico-integrato (fino al 2027) e stazione appaltante dei lavori previsti dal documento.

Il cantiere svela la Trieste sotterranea


L’operazione di difesa del territorio, da svolgersi nell’arco di dieci anni (due trienni e un quadriennio), prevede un investimento stimabile tra i 4 e i 5 milioni di euro, due dei quali stanziati già un anno fa dalla Regione.

La scansione delle attività si articola su 7 fasi: asporto e smaltimento dei depositi sedimentati a mare (il cosiddetto “mammellone” di cui parleremo a breve); asporto e smaltimento dei depositi che ostruiscono la sezione del Chiave; sistemazione idraulica-forestale dell’alveo a cielo aperto sul versante Farneto-Catullo e analogamente sul versante Settefontane; potenziamento della capacità di deflusso del Chiave e del Farneto; laminazione delle piene; diversione delle acque. I primi quattro punti assumono una rilevanza prioritaria, gli altri tre seguiranno e saranno cantierati dopo l’analisi del rischio.



Il Chiave, dopo aver fatto ammattire gli automobilisti triestini per un anno e mezzo sulla chicane di via Carducci, torna prepotentemente di moda. Ma non si tratta più di un bisturi d’urgenza per evitare che le volte ottocentesche collassino, stavolta viene affrontata la situazione idrica nel suo complesso, da afferrare prima che il rischio non si trasformi in emergenza: allora riflettori accesi sul Romagna, sul Catullo, sul Settefontane, sul Farneto, sul Brandalese, sul Marchesetti, sul San Pelagio, sul Timignano, sullo Scorcola.

Gli accumuli di materiale ligneo-litico generati durante le piene, la conseguente ridotta capacità di deflusso delle acque, la presenza di edifici e il transito veicolare adiacenti/sovrastanti i torrenti possono provocare in prospettiva seri problemi di tenuta idrogeologica.

«Il torrente Chiave con i suoi affluenti - scrive a proposito il testo dell’accordo - è il canale tombato dove si può attendere un maggior rischio idraulico a causa della particolare vulnerabilità delle aree potenzialmente coinvolte da fenomeni di allagamento». Come il centro storico, per essere chiari.

Ai problemi connessi al sistema idroambientale triestino, si aggiungono l’accresciuta frequenza di eventi meteo critici e l’innalzamento del livello del mare. «Questa dinamica terra/mare - puntualizza ancora l’accordo di programma - determinerà un progressivo aumento della criticità idraulica sul territorio se non opportunamente governato».

In agenda una «pluralità di interventi». Al primo posto l’eliminazione del “mammellone” alla foce del Chiave in Porto vecchio, leggermente a nord del Molo IV, in pratica all’altezza del “villaggio Greensisam” costituito dai cinque magazzini in concessione ad Antonio Maneschi. Questo curioso soprannome cela un fetente rigonfiamento di detriti, che ostacola l’uscita in mare del Chiave e crea problemi ai natanti. Sarà la prima occasione nella quale la collaborazione tra i pubblici soggetti sottoscrittori dell’accordo verificherà la sua operativa efficacia, tanto più che il “caso mammellone” troneggia da non meno di una quindicina d’anni tra gli adempimenti inadempiuti.

Uno stadio preliminare, sul quale pianificare gli interventi definendo le priorità, riguarda la mappatura della pericolosità e del rischio idraulici, la valutazione della vulnerabilità del territorio.

Infine sarà il Comitato tecnico di coordinamento, convocato dalla Regione e formato dai responsabili nominati da ciascun soggetto, a pilotare sul campo l’attuazione del programma. —


 

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