Addio a Carlo Sgorlon Mauro Corona: "È stato spesso snobbato"
Il ricordo dello scrittore di Erto
«Il Friuli, ma anche tutta l’Italia, dovrà fare i conti con la narrativa di Carlo Sgorlon, uno scrittore che ha avuto il coraggio di essere profetico, e di andare al di là delle mode correnti». Mauro Corona non nasconde il dolore per la morte di Sgorlon, che ricorda come grande amico e maestro, «uno dei pochi che mi ha incoraggiato a scrivere - dice - e che mi ha sempre sostenuto nel mio lavoro». Considerato da molti critici l’erede spirituale di Sgorlon e Mario Rigoni Stern («entrambi lasciano un grande vuoto nella letteratura italiana»), Mauro Corona, del quale è appena uscito per Mondadori il nuovo romanzo ”Il canto delle manère”, non è tenero nei confronti del sua terra, il Friuli, «che non è stata generosa verso Sgorlon, e lo ha un po’ maltrattato».
Si riferisce all’ultimo libro di Sgorlon, ”La penna d’oro”?
«Lo possiamo considerare il suo testamento. È vero che Sgorlon ha avuto successo e ha ricevuto tutti i riconoscimenti possibili, ma è anche vero che soprattutto la televisione lo ha sempre snobbato, e che la sua terra lo ha spesso tenuto in disparte. La sua era una polemica giusta: in Italia se non fai parte di qualche banda, se non sei o di destra o di sinistra nessuno ti considera, e in quanto alla televisione, andiamo a vedere quanto spazio viene dato ai libri: praticamente niente».
Tanti critici però lo consideravano uno scrittore conservatore e d’altri tempi.
«Sì è vero, era uno scrittore d’altri tempi, ma questa è proprio la sua attualità. È la vita stessa che è di altri tempi, noi apparteniamo alla terra e non ne possiamo fare a meno, e lui era un uomo colto e saggio, che ha sempre esaltato il ritorno alla terra. Per esempio vedremo cosa succederà quando finiranno le scorte di petrolio, allora rileggeremo un libro come ”L’alchimista degli strati” con altri occhi. La letteratura non servirebbe a niente se non cercasse di salvare qualcosa, e lui nei suoi libri ha sempre esaltato i valori fondanti. È stato uno scrittore profetico, altro che nostalgico».
Quale lezione ha lasciato?
«Lascia il messaggio di una letteratura per tutti, rivolta a tutti. Questo non significa letteratura disimpegnata, anzi. Come Thomas Mann Sgorlon era un uomo di una cultura vastissima che sapeva dare alla cose il loro nome. Sapeva di boschi, di mare, di stagioni e se doveva nominare la pioggia diceva ”pioggia”, non andava a cercare definizioni retoriche. E poi la persona: era un signore, nei suoi libri ci ha trasmesso anche il rispetto per il prossimo, e per la donna, che oggi nessuno rispetta davvero. E il suo stile, la scelta di non usare mai brutte parole. Sembrano sciocchezze, e invece sono questi i caratteri che fanno la differenza. Insomma la sua è stata una figura ieratica, di riferimento».
Eravate molto amici.
«È stato uno dei primi a credere nel mio lavoro, e uno dei pochi ad appoggiarmi senza condizioni. Quando scrissi il primo libro, ”I volo della martora”, ed ebbi l’offerta della ccasa editrice Vivalda per pubblicarlo, andai da lui e gli chiesi in modo schietto se a suo giudizio valeva la pena stampare quelle pagine. Mi disse di accettare l’offerta, e mi incoraggiò anche dopo. Siamo rimasti in corrispondenza, lo scorso settembre dovevamo tenere insieme un incontro pubblico a Pordenonelegge. Ma lui stava già male, era già in ospedale, e mi telefonò per scusarsi di non poter venire. Un vero signore».
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