Addio ai parassiti dell’uva: a Udine brindisi con i “supervini”

L’Università friulana presenta i primi dieci vitigni resistenti alle malattie: si va dal Sauvignon Nepis al Cabernet Eidos passando per il Merlot Kanthus
Ricercatori impegnati davanti a un vitigno
Ricercatori impegnati davanti a un vitigno

UDINE. Quindici anni di ricerche per arrivare a produrre i primi dieci vitigni resistenti alle malattie. Quella di Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos e di Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Kanthus, i “figli” dei tradizionali Tocai, Sauvignon, Cabernet, Merlot e Regent, è una «storia di successo» che trasforma l’università di Udine in un modello preso a esempio dal ministero dell’Agricoltura. In sala anche l’ex governatore Riccardo Illy.

Ieri, a palazzo di Toppo Wassermann, sono stati presentati i risultati con tanto di degustazione dei vini prodotti dalle viti resistenti alle malattie Pernospora e Oidio, causate da parassiti. Alcuni vini sono più adatti all’invecchiamento, altri con un grado alcolico più o meno elevato, tutti non si discostano dalle caratteristiche dei “genitori”. Partner del progetto i “Vivai cooperativi” di Rauscedo, che detengono i diritti esclusivi di moltiplicazione e commercializzazione del prodotto.

I primi dieci vitigni resistenti alle malattie prodotti in Italia sono coperti da brevetto europeo e internazionale. Trascritti nel registro nazionale italiano del ministero delle Politiche agricole, al momento i vitigni innovativi sono coltivati in Friuli Venezia Giulia e in Veneto. Nulla vieta però che anche un altro Paese europeo e internazionale decida di importare le barbatelle anche se il loro prezzo è triplicato rispetto a quelle non resistenti alle malattie.

Ma, nonostante ciò i costi di produzione risulteranno inferiori rispetto alle viti tradizionali, perché i quindici trattamenti contro i parassiti a cui sono sottoposte in un anno si ridurranno a due. Se si considera che la viticoltura utilizza il 3 per cento della superficie agricola europea e impiega il 65 per cento di tutti i funghicidi usati in agricoltura, le ricadute anche a livello ambientale saranno significative. Un esempio per tutti: il mancato utilizzo del rame eviterà l’accumulo del materiale pesante nel terreno. «Consigliamo prudenzialmente due trattamenti per mantenere basso il rischio funghi» ha sottolineato il professor Enrico Peterlunger, lo stesso che assieme ai colleghi Michele Morgante e Raffaele Testolin, nel 1998, bussò in Regione presentando un progetto innovativo.

La forza del progetto è proprio quella di essere un’iniziativa pubblico-privata sostenuta dalla Regione per quindici anni. A ricordare lo sforzo fatto è stato il dirigente della Regione, Francesco Miniussi, mentre il magnifico rettore, Alberto Felice De Toni, e l’assessore Gabriele Giacomini, ribadivano le potenzialità dell’innovazione.

Su questo ha fatto leva l’assessore regionale all’Agricoltura, Cristiano Shaurli, definendo quella di ieri «una giornata speciale per l’agricoltura, per la ricerca e per l’esercizio virtuoso della specialità regionale». Lungo l’elenco degli aspetti positivi elencati da Shaurli. Primo tra tutti il riconoscimento «delle eccellenze della nostra regione che vanno dalla filiera lunga del vino alla leadership mondiale nel vivaismo viticolo, visto che oltre il 40 per cento delle barbatelle da vite mondiali sono prodotte in Friuli Venezia Giulia». Shaurli si è detto contrario a «colture massificanti in mano solo a multinazionali, ma ciò non evita di capire che le nuove sfide dell’agricoltura passano anche dalle nuove tecnologie, a partire dalla sostenibilità ambientale, dal biologico, alla riduzione dei fitofarmaci e consumo d’acqua. La nostra Regione - ha concluso l’assessore - conferma l’avanguardia sui temi della ricerca e mette a disposizione della comunità internazionale le prime viti resistenti registrate in Italia».

I dieci vitigni resistenti alle malattie si affacciano su un mercato tutt’altro che irrilevante. Secondo il direttore generale dei Vivai cooperativi di Rauscedo, Eugenio Sartori, solo tra Friuli e Veneto si potrebbero convertire 22 mila ettari. Il prossimo passo sarà inserire i “magnifici 10” nelle zone doc.

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