Alessio Cremonini «Ho dato voce a Cucchi perché le vittime non possono parlare»

Il regista sarà al Miela col film e poi premiato in piazza Verdi «Ognuno deve farsi una sua idea dell’ingiustizia»
29/08/2018 Venezia, 75 Mostra Internazionale d' Arte Cinematografica. Photocall del film Sulla mia pelle, nella foto il regista Alessio Cremonini
29/08/2018 Venezia, 75 Mostra Internazionale d' Arte Cinematografica. Photocall del film Sulla mia pelle, nella foto il regista Alessio Cremonini



Alessio Cremonini è il regista del film caso dell’anno, “Sulla mia pelle”, che racconta gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, morto nel 2009 mentre era detenuto. Cremonini sta per arrivare a Trieste, ospite di ShorTS come giurato della sezione “Nuove impronte”. Il film verrà proiettato il 4 luglio, alle 20 al Miela, alla presenza del regista che, alle 21.30, in piazza Verdi riceverà il Premio Cinema del Presente. Venerdì 5 terrà una masterclass nel carcere di Trieste.

Quello di Cremonini è stato un anno d’oro: ha vinto il David di Donatello come miglior regista esordiente e ha il merito di aver riportato all’attenzione del pubblico il caso Cucchi, sul quale è in atto il processo bis che vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali per omicidio preterintenzionale. Eppure, il suo non è un film processuale: «È invece l’approssimarsi terribile e colpevole di una morte, e l’incapacità di un mondo di interrompere quell’effetto domino creato con un pestaggio che ha portato Stefano a morire». La “pelle” di Stefano, sullo schermo, è quella di uno straordinario Alessandro Borghi. Nonostante i fatti risalgano a dieci anni fa, sulla vicenda non era ancora mai stato fatto un film, a parte il documentario “148 Stefano–I mostri dell’inerzia”. Quando l’ha scoperto, Cremonini ha scritto un soggetto di cinquanta pagine con tutta la cronistoria degli eventi scena per scena, «quasi come delle stazioni di una via Crucis. Con la co-sceneggiatrice Lisa Nur Sultan abbiamo studiato all’incirca 10mila pagine di verbali e da lì abbiamo desunto quello che si vede nel film».

Il processo è ancora in corso: com’è riuscito a mantenere la giusta distanza dagli eventi?

«Non volevo un film polemico o manicheo, dove i buoni e i cattivi fossero tagliati con l’accetta, né volevo che il giudizio prevalesse sul racconto dei fatti. Ero convinto che un film “a tesi” non servisse nemmeno alla battaglia della famiglia Cucchi. Invece raccontare i fatti come si desumono dai verbali e dalle indagini è utile per tutti, e permette al privato cittadino di farsi la sua idea».

Infatti, pur mostrando la straziante sofferenza di Stefano, il film non punta il dito contro i carabinieri.

«No, perché mi ricordo dei tanti agenti e carabinieri morti per difendere i cittadini, come mi ricordo di altri che non fanno il loro dovere. Questo accade in tutti i mestieri e le categorie ma, quando succede nel rapporto tra stato e cittadino a volte è più complicato scoprirlo».

Perché ha scelto di concentrarsi sull’ultima settimana di vita di Stefano, dall’arresto alla morte?

«Perché volevo parlare della vittima e non della straordinaria battaglia di Ilaria Cucchi e dell’avvocato Fabio Anselmo. Quella battaglia ha già avuto i suoi frutti in noi tutti, e spero che li abbia anche dal punto di vista giudiziario. Ma volevo raccontare Stefano, perché di solito la vittima non la vedi mai. Purtroppo chi è deceduto non può più parlare, difendersi. Quindi il modo migliore per raccontarlo era far vedere la sofferenza di un nostro concittadino in quella situazione. Ognuno poi poteva farsi un’idea, ma la sofferenza fisica è stata molta».

Per rappresentare il corpo di Stefano, Alessandro Borghi ha perso 18 chili. Gliel’ha chiesto lei?

«Non c’è stato bisogno. Alessandro ha capito subito che volevamo fare un film non sui processi, ma sul dolore. Quel corpo morto e steso assomiglia molto, e lo dico da credente, al corpo di un martire, al corpo di Gesù, a una deposizione». —



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